UN GIORNALISTA COLTO

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Nella sua ampia prefazione, il filosofo Silvano Petrosino tramuta una metafora di Jean Cayrol, presente nel suo Lazare parmi nous (1930), applicandola alla figura di Roberto Righetto. Agli «scrittori di salute pubblica che non hanno paura di sporcarsi le dita, di scendere nell’animo, anche quello più traviato e corrotto», auspicati dallo scrittore francese, egli sostituisce «i lettori di salute pubblica che siano in grado di leggere e di aiutarci a leggere senza cedere alle lusinghe della politica e del mercato, ma anche di una religione che talvolta rischia di ridursi all’una e all’altro». Secondo Petrosino, Righetto con questa raccolta di suoi articoli adempierebbe a un simile profilo.

Effettivamente egli è stato l’artefice di una delle migliori sezioni culturali presenti su un quotidiano («Gutenberg», prima, e «Agorà», poi, nel giornale Avvenire). Personalmente lo classificherei tra le persone più «colte» che abbia mai incontrato. L’aggettivo, che non è sinonimo di «erudito», descrive bene una rara capacità, quella di «coltivare» l’intelligenza esercitandola nello scavo delle opere di letteratura e di saggistica, così da individuarne le nervature essenziali e spremerne il succo delle idee. Il risultato è proprio quanto registrava Petrosino attraverso la categoria, a prima vista strana, del «lettore di salute pubblica» che non è il censore o il pontefice sacrale che «giudica e manda». È, invece, colui che trasceglie nel flusso cartaceo ininterrotto (già Qohelet/Ecclesiaste era convinto che «non si finisce mai di scrivere libri») le pagine anche imperfette e fin parziali, capaci però di incidere una ferita nella superficialità e nell’ovvio del tempo in cui siamo immersi, e di spettinare i luoghi comuni.

Ebbene, a proposito di stereotipi, Righetto, che è soprattutto giornalista, riesce a esorcizzare la vulgata attestata da quella malalingua che era Karl Kraus per il quale «il rapporto che i giornalisti hanno con la verità è lo stesso che le cartomanti hanno con la metafisica» (eppure anch’egli non seppe resistere alla tentazione di fondare un giornale, Die Fackel). Ma veniamo alla raccolta in cui Righetto conferma, a nostro avviso, la sua capacità di indicare letture necessarie e temi da crocevia nella cultura e nella società contemporanea. Tra parentesi, è sconfortante seguire invece le graduatorie dei libri più venduti nelle librerie cattoliche scandite dalla prevalenza di testi modesti, devozionali, encomiastici. Il volume in questione è a dittico. Nella prima sezione egli propone con audacia cinquanta opere che «i cattolici devono leggere», come recita il sottotitolo.

Spazziamo via subito un’obiezione scontata. Come in ogni selezione o antologia, è facile – secondo i propri gusti, conoscenze e sensibilità – scartare e introdurre, soprattutto quando si usa quel verbo imperativo «devono», motivato forse da ragioni editoriali (infatti, la copertina esterna si accontenta di segnalare che si tratta solo di «cinquanta opere del pensiero cattolico del Novecento»). Non possiamo procedere ora allo spoglio delle scelte. Confesso subito di non aver letto almeno una decina dei titoli proposti, nonostante la bulimia della mia personale «libridine». E anche gli altri, a me noti, sono spesso libri spiazzanti, soprattutto se “comandati” per l’inserzione in una ideale biblioteca cattolica.

Infatti, se una lunga sfilata di autori entra senza difficoltà nelle letture di un credente, da Bruce Marshall a Daniélou, da Brague a Guitton, da Flannery O’Connor a Bernanos, giù giù con molti altri nomi, fino a Gustave Bardy o a Pierre Emmanuel, inatteso è il presentarsi all’appello di Kapuscinski, di Neil Postman il «tecnologo», di un (a me ignoto) Sylvain Tesson, che parla di solitudine come David Foster Wallace e che evoca la Siberia come un (altrettanto a me sconosciuto) László Földényi, che si era incuriosito nei confronti di un «Dostoevskij che leggeva Hegel in Siberia e scoppiava a piangere». Si potrebbe continuare a lungo in questa elencazione, incrociando altri personaggi a prima vista inattesi, come Amos Oz, Franco Cassano, Hugh Trevor-Roper, Romain Gary, Tzvetan Todorov.

Ciascun ritratto di questa galleria rivela, però, quella caratteristica di Righetto a cui sopra si accennava, ossia la finezza di saper individuare non solo il midollo del pensiero, ma anche l’empatia esplicita e persino reattiva col messaggio cristiano: esemplari in questo senso possono essere i due ultimi autori, il Carrère del Regno e i Nati due volte di Pontiggia. Sulla scia di questo cristianesimo, ora esplicito ora anonimo, subentra davanti al lettore la seconda tavola del dittico, affidata a una sequenza alfabetica di venticinque parole-chiave, simili ad altrettanti registri simbolici che compongono un discorso antropologico-teologico. Sempre esemplificando, si inizia con una travagliata «bontà» che mette in scena un problematico scrittore e operatore sociale come Luca Rastello, e si procede attraversando anche territori di frontiera o campi minati recanti insegne dai colori accesi: male, sofferenza, mistica, filosofia, postmoderno, persino la risurrezione celata nella tragica Crocifissione di Grünewald, un dipinto che per Canetti «anticipava tutti gli orrori che incombono sull’umanità».

Anche in questi lemmi, i temi sono irradiati non solo di riflessioni simili a lampi intuitivi, ma sono sempre intarsiati di rimandi a testi, a simboli, a figure, a intuizioni, a personaggi, evitando così la retorica che è sempre in agguato, quando si toccano soggetti sensibili come quelli appena elencati o come altri non di rado abusati (intellettuali, Sessantotto, misericordia, parola, provvidenza e così via). La libertà del pensiero di Righetto non si riduce mai a uno sfarfallio di reazioni critiche, è invece spesso un controcanto netto ma non semplificato, asseverativo ma non dogmatico, sorprendente ma non paradossale, severo ma non velenoso. Alla radice c’è il significato ultimo del titolo, Parole Oltre. Da un lato, si esalta la parola, così inflazionata e persino sconciata e violata nell’infosfera attuale. Nella serie dei temi della seconda sezione del libro essa è illustrata attraverso la testimonianza di don Milani, le cui parole censurate dalla giustizia civile ed ecclesiastica sono ancor oggi una sorgente di provocazioni benefiche per credenti e non, tanto da essere state raccolte persino in un «Meridiano Mondadori».

D’altro lato, c’è quell’«Oltre» con la maiuscola che rivela la dimensione trascendente, cristiana, spirituale in senso lato, una ricerca che penetra nei meandri oscuri e luminosi della coscienza e della stessa escatologia, anche con una punta d’ironia. Le ultime righe del libro sono, infatti, affidate a Clive S. Lewis, l’autore delle Lettere di Berlicche, diavolo bonario, e delle fantasmagoriche Cronache di Narnia, per il quale nell’oltrevita, «l’uomo conoscerà il suo cane e il cane conoscerà il suo padrone e, conoscendolo, sarà se stesso». Curiosamente questa raccolta di Righetto è pubblicata dalle Edizioni dell’Asino, un animale mite e messianico, come cantava il profeta Zaccaria: essendo la cavalcatura dei re in tempo di pace (a differenza del bellicoso cavallo), il Messia si presenterà «cavalcando un asino, un puledro figlio d’asina» (9,9), come farà anche Cristo nel suo ingresso festoso a Gerusalemme, alle soglie della sua ultima settimana terrena.

Righetto potrebbe, a questo punto, allegare o suggerire la deliziosa invocazione del poeta francese Francis Jammes (1868-1938) sul suo ingresso in paradiso in mezzo a una schiera di asinelli. S’intitola proprio Preghiera per andare in paradiso con gli asini della quale citiamo solo un frammento: «Prenderò il mio bastone e sulla grande strada / incamminato, agli asini, amici miei, dirò: / Io sono Francis Jammes e vado in paradiso… / Venite, dolci amici, / poveri cari animali che con brusca mossa / d’orecchio scacciate mosche vili, le api e le percosse, / con dolcezza abbassando le teste… / Fate, mio Dio, che nel paese delle anime assomigli a quegli asini / che specchieranno la loro povertà umile e dolce / nella limpidezza dell’eterno amore».

GIANFRANCO RAVASI

Roberto Righetto, Parole Oltre, prefazione di Silvano Petrosino, Edizioni dell’Asino, Roma (www.asinoedizioni.it), pagg. 255, € 16,00.