LE “BUFALE” E LE VERITà DI QUMRAN

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Incessante è la ricerca degli studiosi attorno ai molteplici manoscritti venuti alla luce nelle grotte del sito di Qumran sulla sponda nord-occidentale del mar Morto, a partire dal 1947, allorché un beduino s’imbatté casualmente nei primi reperti. Sulla località e su questi testi, appartenenti a una comunità giudaica là residente certamente dal I secolo a.C. se non prima, si sono appuntati gli interessi di archeologi, papirologi, paleografi, filologi, esegeti, teologi, storici, ma persino di sociologi e antropologi culturali. Le vicende rocambolesche a cui furono sottoposti quei frammenti e la loro prossimità alle origini della nuova fede cristiana destarono anche la curiosità vorace di molti giornalisti e, naturalmente, di faccendieri.

         Così, cominciarono a infittirsi, a scadenze costanti, titoli del genere: Gesù aveva vissuto la sua esperienza in quella comunità? Il Battista era il «Maestro di giustizia» di cui si parla in quegli scritti? I primi cristiani erano adepti degli Esseni, l’«ordine» religioso presente a Qumran (ma non solo)? Da un frammento minuscolo qumranico si può ricostruire un passo del Vangelo di Marco? Quella comunità era già giudeo-cristiana? Il Vaticano boicotta e secreta i manoscritti del mar Morto perché scardinano la genesi tradizionalmente acquisita del cristianesimo? E così via fantasticando, anche con vere e proprie «bufale» specifiche.

         Né sono stati quieti gli avventurieri, pronti a immettere sul mercato falsi d’autore. Il caso recente più clamoroso è quello venuto alla luce a Washington ove un multimilionario protestante di Oklahoma City, tale Steve Green, con un investimento colossale ha eretto un «Museo della Bibbia» collocandovi, tra l’altro, sedici frammenti di Qumran acquisiti su un mercato clandestino. Essi proverrebbero da altre delle 56 grotte esplorate, e non dalle 11 identificate all’inizio, le uniche contenenti ceramica, papiri e pergamene scritte autentiche. In realtà, si trattava di un’abile frode a cui aveva abboccato il mecenate americano coi suoi consulenti.

         I reperti considerati genuini sono ormai classificati, vengono studiati rigorosamente e pubblicati e sono custoditi in sedi note, a partire dal patrimonio maggiore, quello del cosiddetto «Museo del Libro» della Gerusalemme ebraica (molti ne ricordano il profilo architettonico a forma di coperchio di giara, secondo il modello dei contenitori di Qumran). Altri documenti sono, in misura minore e talora minima, al Museo Rockfeller nella Gerusalemme araba, al Museo Nazionale Giordano di Amman, nelle università McGill di Montreal, di Manchester, Heidelberg, Oxford, nella chiesa di Tutti i Santi di New York, nel Seminario teologico McCormick di Chicago e persino nel Baden-Württenberg, in seguito a un acquisto effettuato in Giordania dalle autorità di quel Land.

         Questa lunga inquadratura è destinata a rimandare – nell’immensa bibliografia (non mancano anche saggi molto problematici, come quello di R. Eisenmann, Giacomo fratello di Gesù. Dai Rotoli di Qumran le rivoluzionarie scoperte sulla Chiesa delle origini, edito da Piemme nel 2007, ove si ipotizzava la matrice cristiana dei testi) – a un sussidio da poco tradotto in italiano. Ad approntarlo è stato uno dei massimi esperti del giudaismo di quel periodo, James C. VanderKam, emerito della prestigiosa università di Notre Dame (Indiana), il quale ha al suo attivo ben 13 volumi nella serie «Discoveries in the Judaean Desert», una collana oxfordiana che edita scientificamente i manoscritti qumranici.

         Nelle pagine sintetiche di questo volume, che nasce da una serie di «lectures» tenute dallo studioso a Oxford, si delinea una mappa degli oltre 900 manoscritti individuati, dei quali più di 200 sono testi biblici (alcuni importanti, anche per la loro estensione, come il celebre «rotolo di Isaia» del citato Museo del Libro), composti tra il I secolo a.C. e il I d.C., anche se si hanno indizi di frammenti anteriori, fino al III secolo a.C. Se rilevanti sono le testimonianze bibliche per la comparazione coi codici medievali finora disponibili, suggestiva è la documentazione testuale riguardante la vita di quella comunità giudaica, per certi versi, «eterodossa» e autonoma rispetto al Tempio gerosolimitano ufficiale.

         Ma i lettori saranno particolarmente coinvolti dagli ultimi due capitoli che cercano di rispondere al quesito, sopra evocato, del nesso coi Vangeli neotestamentari e persino con l’epistolario paolino e la prima sezione (cc. 1-4) degli Atti degli Apostoli che, come è noto, è un ritratto della Chiesa delle origini abbozzato dall’evangelista Luca in questa sua seconda opera. Alcuni snodi sono, infatti, di grande interesse: pensiamo ai temi del messianismo, dell’ermeneutica delle Scritture, delle norme giuridiche della comunità e alle relative strutture e relazioni interne. Riguardo, ad esempio, al primo soggetto, quello del Messia, è curioso notare che a Qumran sembra dominare l’idea di una duplicità, ossia di un Messia sacerdotale detto «di Aronne», e di uno davidico detto «di Israele».

         Scrive al riguardo VanderKam: «Il Nuovo Testamento, a differenza dei rotoli, parla di un unico Messia… di discendenza davidica. Merita, però, ricordare che la figura neotestamentaria di Gesù Messia è più complessa di quella di un semplice discendente speciale di Davide. Nella Lettera agli Ebrei in particolare, Gesù riveste qualità sacerdotali secondo l’ordine di Melchisedek, officiante nel santuario celeste. L’idea di un Messia sacerdotale non è quindi estranea al Nuovo Testamento… Contrariamente agli insegnamenti messianici dei rotoli, Gesù nel Nuovo Testamento riunisce, dunque, nella sua persona alcuni aspetti dei due Messia attesi nei testi di Qumran».

         Lasciamo ai lettori interessati a un orizzonte, che rivela tante sorprese, di proseguire attraverso i due binari lungo i quali corre questo studio: da un lato, si entra nella vita e nel pensiero di questo gruppo, pare di «religiosi» celibi, con le testimonianze delle loro «regole» comunitarie e delle loro concezioni talora integralistiche; d’altro lato, si ricostruiscono i contatti e le discrasie col messaggio e la prassi cristiana delle origini. Suggeriamo, a margine, un’attenzione particolare a un passo a prima vista sconcertante della Seconda Lettera paolina ai cristiani di Corinto, dal versetto 14 del c. 6 al versetto 1 del c. 7. Pur nell’orientamento radicalmente diverso dell’Apostolo, questo innesto testuale rivela almeno nel linguaggio l’influsso esercitato da quella comunità. Essa, all’avanzata della Decima Legione Fretense delle forze romane d’occupazione all’interno del deserto di Giuda, dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C., si premurò non di salvare i suoi membri, ma il tesoro più prezioso, i suoi testi sacri e comunitari nelle grotte delle rupi scoscese circostanti il loro «monastero».

GIANFRANCO RAVASI

James C. VanderKam, Gli scritti di Qumran e la Bibbia, Paideia – Claudiana, Torino, pagg. 236, € 27,00.

Si veda anche Timothy H. Lim, I rotoli del mar Morto. Una breve introduzione, Queriniana, Brescia, pagg. 192, € 17,00.

Pubblicato col titolo: Quei rotoli parlano del doppio Salvatore, su IlSole24ORE, n. 135 (17/05/2020).