Le Chiese cristiane di fronte alla sfida della non credenza
La non credenza e l'indifferenza religiosa sono fenomeni relativamente recenti che vanno distinti dall'ateismo e dall'agnosticismo così come li conosciamo a partire soprattutto dall'Ottocento. Un ateo per così dire “classico”, che espressamente e deliberatamente rifiuta la fede in Dio e confuta la sua esistenza è, nelle nostre società secolarizzate ‑ come ha formulato Karl Rahner ‑, un caso pastorale fortunato. Un simile ateo si interroga su Dio; questo problema lo tocca in profondità, sebbene la sua risposta sia ovviamente diversa da quella del credente. Con lui si può discutere. Il non credente “moderno” o piuttosto “postmoderno”, invece, non pare neppure sfiorato da questo quesito. Il Concilio Vaticano Il vede in tale situazione un segno del tempo (GS 7; 19; AG 15; 20).
Questa erosione non solo della fede in Dio ma anche della questione di Dio è un segno dell'erosione stessa della modernità e del passaggio al periodo postmoderno, caratterizzato dallo sgretolarsi della fiducia in tutte le pretese assolute e dall'insorgere di un relativismo qualitativo e, di conseguenza, di un pluralismo qualitativo, la cui tolleranza presunta si trasforma spesso in intolleranza e ostilità verso la fede e la Chiesa. Questo relativismo, assolutizzando se stesso, diventa inevitabilmente contraddittorio.
La situazione postmoderna è in un certo senso una reazione ai totalitarismi disumani del ventesimo secolo, ma allo stesso tempo essa mette in discussione l'antropologia e l'apologia tradizionali. Sembra che la tesi tradizionale dell'“anima naturaliter christiana” e del desiderio naturale dell'uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, non valga più. Ma questo è vero solo in apparenza! Vi sono infatti sociologi della religione che parlano di una dialettica dell'illuminismo e di una tendenza “produttiva di religione” tipica del presente (religionsproduktive Tendenzen der Gegenwart). Essi indicano vari fenomeni, quali la crescita esorbitante di vecchie e nuove sette, di movimenti neo‑religiosi e pseudo‑religiosi, di forme surrogate di religione e persino di un ritorno del mito e del sacro. Siamo dunque testimoni, da una parte, dell'erosione della religione e, dall'altra, del suo continuo permanere.
È necessario che la Chiesa prenda coscienza di questa nuova situazione e riconosca le sfide che le si presentano. Non sarebbe proficuo né avviare una polemica infuocata contro una società superficiale del benessere, concentrata solo sul suo piacere, né assumere un atteggiamento positivista o fondamentalista. Occorre piuttosto un'analisi approfondita e differenziata delle molteplici cause e forme della situazione attuale. Sicuramente, in termini teologici, si può parlare del peccato della chiusura dell'uomo su se stesso, della disillusione, della disperazione e persino di una reazione nichilista di fronte all'esperienza del male nel mondo, ovvero della questione umanamente insolubile della teodicea.
Ma devono essere individuati anche fattori contingenti, come le rapide trasformazioni sociali e il grande spaziare delle conoscenze, che diventano sempre più vaste e confuse, così che molti si sentono disorientati ed arrivano a considerare ogni pretesa assoluta come arbitraria. Fra le cause contingenti, molti contemporanei vedono anche la concreta forma storica della Chiesa e le sue debolezze. Anche per l'“indifferentismo” vale ciò che il Concilio Vaticano Il ha detto sull'ateismo: “considerato nella sua interezza non è qualcosa di originario, bensì deriva da cause diverse, e tra queste va annoverata anche una reazione critica contro le religioni e, in alcune regioni, proprio e anzitutto contro la religione cristiana” (GS 19). La non credenza e l'indifferenza religiosa sollecitano dunque da parte della Chiesa una presa di coscienza ed un atteggiamento autocritico.
Un secondo punto sul modo in cui la Chiesa dovrà reagire di fronte alla situazione attuale. L'autocritica che dovrà esercitare la Chiesa non significa affatto rassegnazione, non significa perdita della fiducia in sé, cambiamento dell'immagine che ella ha dell'uomo, il quale è e rimane per sua natura creatura che cerca Dio, né significa sfiducia nel proprio messaggio evangelico o nella propria natura di testimone, segno e strumento della verità di Dio e dell'uomo. Le due verità trovano infatti il loro compimento in Gesù Cristo, che come vero Dio e vero uomo, è l'ultima rivelazione, è la verità su Dio e sull'uomo, cosi che “solamente nel mistero di Cristo trova vera luce il mistero dell'uomo” (GS 22). Pertanto, nel mondo di oggi, l'annuncio del vangelo e la testimonianza della fede non possono essere semplicemente imposti, ma devono essere interpretati affinché possano illuminare l'esperienza umana; soprattutto il mistero del dolore e della morte, che al di fuori del vangelo ci opprime, riceve luce da Cristo e in Cristo (ib.).
Occorre dunque che la Chiesa rimanga Chiesa e non si conformi superficialmente alla situazione attuale, cedendo al relativismo e al pluralismo religioso e rinunciando al carattere unico ed assoluto del suo messaggio oppure appiattendosi al livello di un'agenzia sociale ed umanitaria. Anzi, il motto dev'essere: “adattamento nella contraddizione” (D. Bonhoeffer). Precisamente in una situazione in cui tutto diventa indifferente e anonimo e, dunque, grigio e noioso, la Chiesa si fa interessante e, ponendosi come alternativa, sollecita attenzione e domande; essa diventa credibile come testimone, cioè come martire, tramite la sua esistenza martirologica.
Un terzo ed ultimo punto. Dobbiamo distinguere fra lo “scandalo” essenziale per l'esistenza della Chiesa, perché fondato sul suo messaggio irrinunciabile, e gli scandali non necessari, ma dalla Chiesa prodotti e provocati. In questo contesto, vanno ricordati non solo gli scandali morali, ma anche la mancanza di uno spirito attualizzante, dovuta all'erronea identificazione della figura essenziale della Chiesa con la sua figura storicamente condizionata. Alcuni sociologi della religione parlano non solo di una crisi di tradizione, che ovviamente esiste, ma anche di una crisi di urgente innovazione e di un'incapacità a reagire adeguatamente ai cambiamenti esterni e ai segni del tempo.
In questo contesto vorrei aggiungere una riflessione conclusiva. Mentre oggi per molti contemporanei il linguaggio tradizionale della Chiesa e le sue formule dogmatiche sono incomprensibili e persino equivoci, nella società è presente, oltre ad una sensibilità per la testimonianza della fede vissuta e comprovata innanzitutto dalla carità non interessata, una nuova sensibilità per i simboli e per l'arte, sia l'arte figurativa che la musica. Soprattutto per molti giovani l'arte è diventata uno strumento particolarmente adatto alla trasmissione di un messaggio religioso, per il quale essi non hanno più parole o per il quale le nostre parole tradizionali per loro non hanno più significato. Così la bellezza, che secondo alcuni filosofi è una rappresentazione ed un'anticipazione dell'Assoluto, nella situazione relativista postmoderna può diventare un mezzo preferenziale per l'annuncio del vangelo. Questo nuovo approccio dà risalto anche alla celebrazione ed ai simboli liturgici, ovvero all'ars celebrandi ‑ sfortunatamente talvolta trascurata.
Purtroppo, per motivi di tempo, non posso trattare altri aspetti del tema, quali l'importanza della testimonianza dei laici. L'esposizione di un argomento così vasto come quello della non credenza non può di fatti esaurirsi in dieci minuti. Ma spero d'aver mostrato che nel tempo della postmodernità non esistono solo fenomeni negativi e deplorevoli, ma anche fenomeni che possono diventare segni di speranza.