Il Mistero che siamo chiamati a comunicare

p. Marko Ivan Rupnik

Questa Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura è stata, a mio avviso, già dal punto di vista del metodo, di grande profitto. Ho molto apprezzato l’apertura agli esperti e ai tecnici invitati, che hanno veramente apportato dei contributi validi e pertinenti al tema trattato. Il fatto di avere anche tempo per la discussione e l’approfondimento mi sembra sia una formula da custodire. Infatti, su temi così specifici, i membri e i consultori difficilmente hanno la competenza degli ospiti invitati proprio a motivo della loro competenza sull’argomento trattato. D’altra parte, è proprio l’interazione tra gli esperti e il punto di vista dei membri dell’Assemblea che fa acquisire un ulteriore interesse alla presenza degli esperti, che altrimenti si limiterebbe ad una semplice comunicazione di dati, anche se già di per sé interessante.

Al margine della Plenaria dedicata alla cultura della comunicazione e ai nuovi linguaggi, vorrei semplicemente aggiungere che non va dimenticata anche la questione di ciò che siamo chiamati a comunicare. Penso che la comunicazione e la questione dei linguaggi – nuovi o convenzionali che siano – non siano di per sé un argomento autonomo. Infatti, cambia la comunicazione e anche il linguaggio se si tratta di comunicare delle idee, delle nozioni, degli stati d’animo, dei valori, o uno stile di vita, la stessa vita nello Spirito o addirittura la Persona del nostro Signore e Salvatore. Forse nella futura Plenaria non sarebbe fuori luogo considerare anche tale questione, dato che forse il contenuto o addirittura il Mistero che siamo chiamati a comunicare non è poi così scontato come alle volte può sembrare.

Credo inoltre che, anche nel campo stesso dell’evangelizzazione, quando si tratta di considerare la cultura, si possa cadere nella trappola di spostare tutta l’attenzione al mondo intellettuale, concettuale, e di ridurre la questione alla capacità di acquisire una sensibilità capace di sapersi porre in dialogo con gli altri. Si rischia così di scivolare in una sorta di metodologismo, come se tutto si risolvesse con l’essere al passo con la cultura delle comunicazioni e come se, stando al gioco formale della comunicazione, l’evangelizzazione portasse dei frutti. Ma poiché il messaggio della fede è una realtà complessa e sprofonda nel mistero di un Dio personale, va continuamente operato un discernimento sulla comunicazione. La comunicazione, infatti, per essere autentica, deve garantire una certa integrazione del contenuto.

In questo contesto, penso che negli ultimi anni ci sia stata molta enfasi sui mezzi, sul “come fare”, sui rischi e i pericoli di certi linguaggi. Ma forse dalla memoria della Chiesa ci viene anche il richiamo ad un’altra attenzione – quella ad una certa “ecclesializzazione” dei mezzi e dei linguaggi. Con “ecclesializzazione” non intendo un’appropriazione di questi linguaggi da parte di un settore della vita sociale, il dar loro un’impronta da addetti ai lavori o da ghetto, né un loro uso per esprimere temi convenzionalmente legati alla fede. Per “ecclesializzazione” intendo assumere un linguaggio con il quale si veicola la vita come comunione, come riflessione testimoniata. Le idee e i concetti, da soli, non riescono a creare le relazioni interpersonali, dunque non creano la comunità. Non possono pertanto trasmettere il contenuto che noi abbiamo da comunicare.

C’è bisogno pertanto di un discernimento che accompagni la dinamica tra la liturgia – il linguaggio più interiore e integro della fede – e la cultura nella quale il cristiano in concreto vive, che non può essere accettata solo nella misura in cui si offre come puro strumento per fini che le sono estranei e per i quali viene verniciata di una patina esteriore di religiosità. Nella vita non ci sono zone neutre religiosamente indifferenti. E’ questo discernimento che porta ad una ricca integrità organica e porta a formulare un linguaggio che di per sé non è solo “comunicazione”, ma fa già parte del contenuto e ne è testimone. Fondamentalmente si tratta di comunicare l’amore realizzato che è Bellezza. Per questo motivo non è possibile separare il contenuto dal linguaggio e dalla comunicazione.