CRISTO CI AVVOLGE, CI COINVOLGE, CI TRAVOLGE
Fratelli, l’amore del Cristo ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro.
Cosicché non guardiamo più nessuno alla maniera umana; se anche abbiamo conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così. Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. (2 Corinzi 5, 14-17)
Al centro del brano paolino che la liturgia di questa domenica ci propone c’è un tema caro all’Apostolo: egli lo approfondirà soprattutto nel capitolo 6 della Lettera ai Romani. Il cuore della riflessione è l’evento pasquale. Esso comprende innanzitutto la morte di Gesù che è la prova più radicale ed esplicita dell’ingresso del Figlio di Dio nella natura umana. Il morire, infatti, è un po’ come la nostra carta di identità, perché attesta il nostro limite entro lo spazio e il tempo. È qui, dunque, che si attua la piena solidarietà di Cristo con noi, il suo essere veramente uno di noi, uomo in senso pieno.
Tuttavia egli, anche quando è ridotto a un cadavere, in una morte autentica e non fittizia, non cessa di essere il Figlio di Dio. Non è, perciò, sufficiente – come scrive san Paolo – «conoscere Cristo solo alla maniera umana». Egli, infatti, come Dio attraversa la morte fecondandola, rendendola un grembo oscuro che custodisce però un seme di luce e di vita. Ecco, allora, la risurrezione che è espressione dell’eternità propria del Figlio di Dio. A questo punto possiamo comprendere lo sviluppo che l’Apostolo introduce e che riguarda il cristiano.
Noi, in verità, quando entriamo nel fonte battesimale è come se morissimo: in quel sepolcro d’acqua partecipiamo alla morte di Gesù e il nostro statuto di creature misere e peccatrici decade. Da quel sepolcro, infatti, noi usciamo come «nuove creature», perché prendiamo parte alla risurrezione di Cristo il cui effetto salvifico si effonde in noi trasformandoci in figli adottivi di Dio. Per questo Paolo ai Galati dirà di essere stato «con-crocifisso con Cristo» (2, 20), partecipando alla sua morte, ma di essere anche coinvolto nella sua risurrezione, ricevendo così «il dono della vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore» (Romani 6, 23).
Tutto questo sboccia e fiorisce dall’agápe, cioè dall’“amore” di Cristo che «ci possiede», come si dice nella prima frase del nostro brano. A questo proposito vorremmo fare una piccola nota sull’originale greco di Paolo. Il verbo tradotto con “possiede” è synéchei che ha in greco tre significati. Innanzitutto rimanda al “tenere insieme, avvolgere”. Così nel libro biblico della Sapienza si dice che «lo Spirito del Signore avvolge (synéchon) ogni cosa» creata (1,7). Cristo ci “avvolge” con la sua morte, morendo come noi. Ma c’è un secondo significato, “rinchiudere, coinvolgere”, ed è la nostra partecipazione alla morte di Cristo aperta alla risurrezione e alla vita. Infine, il verbo greco indica un “possedere, spingere, travolgere”: l’antica traduzione latina della Vulgata aveva appunto urget, “spinge, urge”. È la forza della risurrezione che ci travolge e ci spinge a «vivere per colui che è morto e risorto per noi». Cristo, dunque, col suo amore per noi ci synéchei, ossia ci avvolge, coinvolge e travolge nella salvezza.