“Guai a quelli che fanno traduzioni letterali e, traducendo ogni parola, snervano il significato delle frasi. E’ ben questo il caso di dire che la lettera uccide e lo spirito vivifica”. Così, citando san Paolo (2 Corinzi 3,6), l’agnostico Voltaire nelle sue Lettere filosofiche diceva almeno due cose rilevanti. Innanzitutto ribadiva a denti stretti che la Bibbia è una sorta di imprinting nella memoria e nella cultura dell’uomo occidentale e, poi, distingueva tra due modelli del tradurre, quello ad “equivalenza materiale” – come sogliono dire i linguisti – per cui ad ogni segmento testuale si sovrappone un ricalco nella nuova lingua, e quello ad “equivalenza formale” che cerca di custodire soprattutto il senso del testo. E’ naturale che ci siano pregi e rischi in entrambe le tipologie, anche se con Voltaire si è sempre più convinti che la seconda è tendenzialmente più produttiva.

            Ovviamente  il tradurre si complica quando i due sistemi linguistici e mentali sono eterogenei : è ciò che accade per la Bibbia la quale sboccia nell’orizzonte semitico e quindi si rivela non di rado irriducibile agli schemi d’una lingua neolatina. E’ per questo che sia le lamentele sulle versioni sia le antologie degli equivoci e dei puri e semplici svarioni sono infinite, come è costante il monito del ritorno agli originali perché nella traduzione qualcosa sempre evapora. A partire, ad esempio, dall’umorismo che – come annotava Virginia Woolf nel suo Common Reader – è “la prima qualità che va persa in una lingua diversa rispetto all’originale”. Nel prossimo autunno sarà finalmente disponibile l’integrale nuova versione italiana ufficiale della Bibbia avallata dalla nostra Conferenza Episcopale. Un’anticipazione selettiva è stata quella del cosiddetto “Lezionario”, la raccolta di brani biblici destinata all’uso liturgico festivo, raccolta che abbiamo già avuto occasione di presentare in queste pagine.

Ritorneremo sulle caratteristiche di questa versione anche in futuro, perché il 2008 vede – a livello di Chiesa cattolica universale – due eventi significativi che hanno al centro le Scritture Sacre.

In ottobre si celebrerà il Sinodo dei Vescovi:  su invito del Papa, rappresentanti delle varie Conferenze Episcopali convergeranno a Roma per rilanciare a tutta la Chiesa la necessità di riportare al centro della pastorale la Bibbia. Inoltre, l’arco che va dal giugno 2008 al giugno 2009 è stato dichiarato “anno paolino” ed è noto che ben 2003 dei 5621 versetti in cui è stato scandito il Nuovo Testamento appartengono alle Lettere dell’Apostolo, pagine capitali per la teologia cristiana. Ma riprendiamo il discorso sulle traduzioni bibliche.

            E’ risaputo che per alcune lingue europee è stata proprio una versione delle Scritture ad aver generato un vero e proprio fenotipo linguistico : pensiamo alla traduzione tedesca di Lutero (1534) o alla celebre King’s James Bible inglese (1611). Ma già ancora prima, la versione greca dell’Antico Testamento detta dei Settanta e quella latina della Vulgata di san Girolamo avevano coniato una sorta di linguaggio specifico che sarebbe perdurato nella storia ecclesiale successiva. Niente di tutto questo si può dire per l’italiano, nonostante l’esistenza di almeno undici versioni integrali bibliche in volgare tra il XIII e il XV secolo (quella del camaldolese Nicolò Malermi, apparsa nel 1471, registrerà ben diciannove edizioni !). Certo, qualche rilievo a livello “culturale” oltre che religioso avranno due traduzioni, quella del calvinista lucchese Giovanni Diodati (1607), che Mondadori ha riproposto tempo fa nei “Meridiani” soprattutto come documento letterario, e quella del settecentesco arcivescovo di Firenze Antonio Martini che, però, traduceva da una traduzione, ossia dalla  Vulgata latina e che, ciononostante, ebbe un successo folgorante (48 edizioni tra il Settecento e l’Ottocento).

            Eppure la Bibbia nell’ambito italiano rimase sostanzialmente estranea, almeno nell’uso diretto dei fedeli : le ragioni sono ben note e risalgono alla tensione scaturita tra la Riforma protestante e il successivo Concilio di Trento. Noi, però, vorremmo puntare ora più sulla Bibbia italiana nata dal Concilio Vaticano II, quando si assistette a una vigorosa riappropriazione delle Sacre Scritture da parte della Chiesa cattolica (precedentemente era soprattutto la liturgia a espletare questa funzione, anche se in modo parziale, antologico e connotato dal contesto). La prima Bibbia “ufficiale” post-conciliare fu elaborata tra il 1965 e il 1971 su una base preesistente, cioè la  versione edita dall’Utet e che era stata approntata da tre biblisti italiani di alta qualità, Enrico Galbiati, Angelo Penna e Piero Rossano. Si trattava, quindi, di una revisione e di un adattamento. Anche in seguito, nella seconda edizione, si procedette sempre secondo i canoni di una riedizione corretta e rivista. Fu, invece,  a partire dal 1988 che si decise di procedere a una più accurata e sistematica rivisitazione testuale, sulla scia di quanto la Santa Sede aveva fatto sulla Vulgata geronimiana, dando origine a una Nova Vulgata che teneva conto delle acquisizioni dell’esegesi moderna.         

          Così, nel 2002 – dopo un lungo itinerario di elaborazione da parte di una legione di esegeti e dopo una fitta serie di osservazioni inviate dai vari vescovi italiani – si è  approdati all’approvazione del nuovo testo da parte dell’episcopato con 202 voti favorevoli e un solo contrario. L’opera passò poi al dicastero vaticano preposto all’approvazione delle traduzioni di uso liturgico, cioè alla Congregazione del Culto, la quale propose le sue osservazioni e, così, si giunse a un testo definitivo e alla sua approvazione solo nel 2007. A questo punto dovremmo offrire un’esemplificazione diretta della qualità della traduzione e del valore delle sue opzioni. E’ ciò che abbiamo intenzione di fare in futuro, appena sarà stata edita questa Bibbia in modo integrale e non solo antologicamente, come finora è avvenuto attraverso il citato “Lezionario” liturgico. Certo, aveva ragione Cervantes quando definiva la traduzione come il rovescio di un arazzo (James Howell parlerà, invece, del rovescio di un tappeto turco) : il ricorso all’originale è fondamentale, ma è un lusso che solo pochi possono permettersi ed è per questo che le versioni sono necessarie e “benedette”.