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Sostanze e sostanza

Approcci diversi sulla percezione dell’essenza delle cose

di Carlo Maria Polvani

I grandi dibatti teologici riguardanti i misteri della Trinità e dell’Incarnazione contribuirono sensibilmente allo sviluppo dei concetti filosofici di “natura”, di “persona” e di “sostanza”. A proposito di quest’ultima, la raffinatezza delle argomentazioni difese dai Padri della Chiesa sui termini di ουσια (ousia), di υποκείμενον (hypokeimenon) e di υποστασις (hypostasis) confermano quanto le accezioni inerenti alla sub-stantia — intesa come l’essenza stessa di una cosa — fossero così poliedriche da tollerare persino approcci empirici come quello presentato nel saggio La sostanza delle cose. Storie incredibili dei materiali meravigliosi di cui è fatto il mondo (Torino, Bollati Boringhieri, 2019, pagine 249, euro 23). L’autore, Mark Miodownik, laureato 2017 del Royal Society of London Michael Faraday Prize per la divulgazione scientifica, è un ingegnere specializzato in metallurgia e uno degli ideatori della sensoaestehics, un approccio innovativo, promosso da scienziati e da artisti, sui fenomeni delle percezioni estetiche ed emozionali dei materiali.

Un esempio ludico di questa proposta interdisciplinare è lo spoon experiment, nel quale vari tipi di minestre (asparagi, funghi, carne, pesce, verdura...) sono esaminate da un punto di vista organolettico — cioè delle proprietà captate dall’udito, dal tatto, dal gusto, dall’odorato e dal sapore — a seconda della loro assunzione per mezzo di cucchiai composti da materiali diversi (legno, rame, acciaio, argento, plastica...). La sensoaestehics — come lo indica la qualità e l’eccentricità britannica delle opere d’arte di una dei suoi ideatori, Zoe Laughlin, esposte alla Tate Modern Gallery o al Victoria and Albert Museum — deve la sua configurazione attuale al rigore scientifico anglosassone del think tank che ne è diventato il paladino: The Institute of the Making presso l’University College of London. Tant’è che ogni lettore potrà pregustare nell’affascinante libro di Sir Mark le basi intrinseche dei materiali atte a spiegare le esperienze trasmesse dai sensi quando gli esseri umani entrano in contatto con loro.

Dedicando i vari capitoli del suo libro all’acciaio, alla carta, al cemento, al cioccolato, alla schiuma, alla plastica, al vetro, alla grafite e alla porcellana, il professor Miodownik propone di associare a ciascuno di essi gli aggettivi di “indomito”, “fidata”, “fondamentale”, “delizioso”, “meravigliosa”, “immaginifica”, “invisibile”, “indistruttibile” e “raffinata”. Per giustificare queste associazioni, egli accompagna il lettore in ammalianti esplorazioni dalla realtà chimico-fisica dei materiali presi in considerazione.

La carta, per esempio, fu, per secoli, un materiale raro; per farne un semplice foglio, liscio e sottile al tatto, è necessario infatti un procedimento chimico energivoro che estragga la cellulosa intrappolata nel legno da una speciale proteina, la lignina. A livello molecolare, la delignificazione — meglio conosciuta come Kraft-Aufschluss perché scoperta dal prussiano Carl F. Dahl nel 1879 — equivale più o meno a «districare della gomma da masticare invischiata nei capelli». Il legno viene frantumato e bollito nel solfuro di sodio fino allo spappolamento; la poltiglia così ottenuta, è poi essiccata su una superficie piatta, sbiancata con agenti ossidanti (inizialmente, si usava il cloro) e ricoperta (di solito, con della polvere di gesso) per limitarne la porosità.

La carta offre dei vantaggi evidenti rispetto ad altri materiali utilizzati per la comunicazione scritta quali la pietra o l’argilla; fra questi, il poter essere disposta a fogli e quindi, contrariamente alla pergamena (la cartapecora derivata dalle interiora animali ripulite ed essiccate sotto tensione), di permettere una forma primitiva di “memoria di accesso casuale” (ram: andare alla pagina per ritrovare un dato, senza dover srotolare l’intero documento). Siccome è riciclabile e il suo spessore è modulabile, può essere adattata ai fini confacenti al tipo di informazioni da veicolare (dal cartoncino usato nei biglietti degli autobus fino alla filigrana che contiene dati verificabili in controluce nelle banconote). La carta, poiché pieghevole, ha poi il vantaggio di poter essere utilizzata per celare oggetti (un dono avvolto nella carta regalo a Natale) o per conservarli (il pesce arrotolato in un giornale al mercato). Molte altre qualità fanno della carta uno strumento insostituibile per la comunicazione umana, fra cui il suo invecchiamento progressivo causato dai prodotti organici che essa intrappola e che le conferisce la capacità di mantenere dati sensoriali (il profumo di una fidanzata su una lettera d’amore) difficilmente conservabili da altri dispositivi informativi (quali un messaggino telefonico).

Un altro esempio offerto dal Prof. Miodownik è un derivato del cemento che amalgama la sabbia, il ghiaietto e la ghiaia: il calcestruzzo. Un po’ come succede per la gelatina la cui ossatura è il collagene, il silicato di calcio, intrappolando le molecole d’acqua, allunga le sue fibre fino a passare da uno stato gelatinoso a uno solido. Questa reazione deve risultare perfettamente calibrata: basta sbagliare anche di poco i dosaggi e il calcestruzzo risulta troppo fragile, sia perché troppo molliccio, sia perché troppo polveroso. I segreti delle proporzioni erano ben conosciuti dagli ingeneri romani che eressero la cupola emisferica del Pantheon di un diametro di 150 piedi (43 metri all’incirca). Una qualità tipica del calcestruzzo, infatti, è la sua resistenza eccezionale alla tiratura plastica (quando si separano gli estremi di un oggetto come se fosse una gomma da masticare, per riprendere la metafora utilizzata poc’anzi); ma un suo difetto è la fragilità alla crepatura (una volta fissurato, il calcestruzzo cede, frantumandosi). Un giardiniere francese, Joseph Monier (1803-1926), ebbe l’idea di colare del calcestruzzo in una armatura di acciaio per i suoi vasi; nasceva così il beton armé. Il cemento armato non solo è più resistente alle crepature ma mantiene bene tale resistenza nel tempo poiché i coefficienti di espansione termica dell’acciaio e del calcestruzzo sono quasi uguali. Se poi nella ghiaia del calcestruzzo si annidano delle colonie di Sporosarcina pasteurii, questi batteri, purché trovino a disposizione l’amido di cui si nutrono, producono abbastanza calcite da risaldare la struttura. E, oltre a essere auto-riparante, il calcestruzzo può essere anche auto-pulente, grazie al biossido di titanio che lo mantiene smacchiato, come si può costatare nella famosa chiesa dell’architetto Richard Meier Dives in Misericordia, consacrata nel quartiere alessandrino di Roma poco dopo il grande giubileo del 2000.

Per quanto accattivante sia la sensoaestethics — che spiega i diversi tipi di cristallizzazione e i procedimenti chimici che rendono «delizioso» il cioccolato (solido) differenziandolo dalla cioccolata (liquida), o i segreti di intrappolamento dell’aria in un’intelaiatura finissima (l’areo-gel) che permettono alla schiuma di dare sensazioni «meravigliose» sulla pelle — essa si basa sulla presunzione che la percezione veicolata dai sensi sia una misura attendibile dell’essenza della materia. Carlo Rovelli, nel suo ottimo La realtà non è come appare. La struttura elementare delle cose (Raffaello Cortina Editore, 2019), offre però serie ragioni di dubitarne, riportandoci con termini semplici a quanto fuorvianti e persino ingannevoli siano spesso i nostri sensi.

Il Direttore di ricerca di gravità quantistica alla Université de Aix-Marseilles collega i grandi problemi filosofici sulla materia introdotti dai pensatori della Antichità (e.g., fin a che punto essa sia divisibile, con l’atomismo scientifico di Leucippo di Mileto) con le grandi questioni irrisolte della fisica attuale (e.g., la teoria della super-gravità che tenta di riconciliare le osservazioni sulle forze gravitazionali evidenziate nell’immensamente grande — stelle, galassie etc... — e i comportamenti delle particelle elementari osservate nell’infintamene piccolo — bosoni, fermioni etc..). L’illusoria continuità e discontinuità della materia che sperimentiamo, il defluire unidirezionale del tempo che ci appare sempre costante anche se non lo è, sono in realtà tragiche illusioni veicolate proprio dai nostri cinque sensi, ben più calibrati ad assicurare la sopravvivenza della nostra specie sul nostro piccolo pianeta che adatti a comprendere i misteri arcani dell’universo. Alla fine, spiega dunque il Prof. Rovelli, citando il poeta Mario Luzi, a noi umani solo spetta il ruolo di essere «osservatori attenti», a dispetto dei nostri sensi, di una sostanza delle cose che altro non è se non un misterioso brulicare di «energie discontinue»: «E seguita, seguita a pullulare morte e vita, tenera e sottile, chiara e inconoscibile. Tanto afferra l’occhio da questa torre di vedetta» («Dalla torre», in Fondo delle campagne). Una lezione di sano realismo, è forza ammetterlo.

Pubblicato in L'Osservatore Romano, 23/10/2019.