Proprio mentre scrivo queste righe, lo sento gracchiare nella piazzetta accanto al colonnato di S. Pietro, in perenne contesa coi gabbiani. La sua voce sgraziata, la livrea cupa, la voracità gli hanno impresso un marchio simbolico negativo. E questo accade fin dalle prime pagine bibliche quando il livello delle acque del diluvio decrescono e «Noè aprì la finestra che aveva fatto nell’arca e fece uscire un corvo. Esso uscì andando e tornando, finché si prosciugarono le acque sulla terra» (Genesi 8,6-7). Preoccupato solo di trovare cibo, scompare, a differenza della dolce colomba candida che si impegna a rientrare recando «nel becco una tenera foglia d’ulivo» (8,11).
Nasceva, così, una sorta di filo nero simbolico che avrebbe a lungo emarginato questo volatile nella tradizione successiva, classificandolo quasi sempre tra gli animali negativi, aggressivi e votati a sopravvivere in regioni desertiche. S. Agostino sarà uno dei fieri avversari del corvo e curiosamente nel suo verso, che assomiglia al latino cras, «domani», intuiva la voce diabolica che invita il peccatore a dilazionare la conversione a un «dopo» senza meta. Inoltre, il suo piumaggio scuro era simile a un manto insozzato di male e mortifero. Anzi, il celebre Padre della Chiesa era convinto che l’arca di Noè, che ospitava sia il corvo sia la colomba, fosse un emblema della Chiesa ove coesistono peccatori e giusti, e fino ai nostri giorni nelle stanze vaticane si è parlato della presenza di «corvi» traditori.
Eppure, a sfogliare i testi sacri biblici, le cose non stanno proprio così. Si pensi, ad esempio, agli esordi della vita pubblica del profeta Elia, in ritiro in Transgiordania lungo il torrente Cherit: «I corvi gli portavano pane e carne al mattino, e pane e carne alla sera» (1Re 17,6). Come veri e propri camerieri, erano votati alla mensa del profeta solitario. Così, è deliziosa la scenetta che dipinge il Salmista con un solo verso: il Creatore «provvede cibo al bestiame, ai piccoli del corvo che gridano» (147,9). Ancor più affascinato da questi uccelli sarà Gesù che così si rivolge ai suoi discepoli: «Guardate ai corvi: non seminano e non mietono, non hanno dispensa né granaio, eppure Dio li nutre» (Luca 12,24).
Si intravedono in tal modo due rappresentazioni che al filo nero sopra evocato intrecciano anche un filo bianco, tant’è vero che un interessante autore cristiano contemporaneo di Agostino come Paolino di Nola conia una distinzione di ornitologia sacra tra corvo buono e cattivo: «Questo uccello, nelle Scritture, a volte significa il peccato, a volte invece rappresenta la grazia». Quei due fili frammisti tra loro continuano a tessere testi nei secoli successivi (lasciamo tra parentesi le mitologie antiche), forse con la prevalenza del nero. A descriverne i percorsi in modo affascinante, anche perché accompagnati da un delizioso apparato iconografico, è Michel Pastoureau, uno dei massimi esperti di storia del simbolismo in Occidente. In verità, egli si è consacrato soprattutto allo studio dello spettro cromatico nella sua mirabile varietà metaforica, sia nel suo insieme, sia nella sua molteplicità, dal blu al verde, dal rosso al giallo e naturalmente al nero. Anche se questo suo saggio è già stato presentato nel nostro supplemento, ci siamo ritornati secondo la prospettiva di una sorta di zoologia sacra.
Altri animali biblici, infatti, hanno coinvolto l’autore, selezionando proprio quelli più divisivi come il maiale, il lupo, il toro e appunto il corvo nei cui confronti propone alla fine un ritratto metaforico efficace: «Il corvo non è soltanto un intermediario fra il cielo e la terra, fra la vita e la morte, ma è anche un mistificatore. Imbroglia tutto il suo mondo, gli animali, gli uomini, gli dei. A volte imbroglia anche gli storici». Il suo saggio insegue i voli metaforici del corvo fin dall’antichità ove era messaggero degli dei. Lo si ritrova nel cielo della Bibbia e dei Padri della Chiesa, lo si scopre in fuga durante la guerra che subisce nell’Alto Medioevo e lo si ammira nelle pagine colorate dei bestiari medievali. Da allora sono favolisti e ornitologi a spartirsene la realtà e l’immagine.
Ma veramente sorprendente è lo sbocco finale del saggio di Pastoureau ove il corvo si trasforma in un romantico «nunzio di morte» (come non pensare al funereo thriller Gli uccelli di Hitchcock?). Eppure non perde il suo ideale filo bianco, anche se un po’ sporcato dalla retorica moralistica: è facile evocare il corvo di Uccellacci e uccellini di Pasolini. Dotato di loquela, si rivela più lucido, realistico e generoso dei due umani protagonisti, il padre stupido e perverso e il figlio cinico e vanitoso, che lo incontrano per strada. Ma, per ritornare alla prospettiva religiosa, dobbiamo ricorrere a un asserto inatteso delle Scritture: «Uomini e bestie tu salvi, Signore… Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature» (Salmi 36,7; 145,9).
Il quinto giorno della creazione, nella prima pagina biblica, è dedicato agli animali e nel cielo volano subito gli uccelli che entreranno nel bestiario sacro sul quale si ricameranno nei secoli infinite applicazioni etico-teologiche. Gesù stesso si interesserà, oltre che dei corvi, anche dei passeri, delle aquile, degli avvoltoi e delle galline e ci sarà persino un gallo malizioso, il cui canto segnalerà un famoso tradimento… Ma, come nota l’antico sapiente ebreo, «nessuno comprende la via dell’aquila nel cielo» (Proverbi 30,19).
GIANFRANCO RAVASI
Michel Pastoureau, Il corvo, Ponte alle Grazie, pagg. 160, € 22,00.