AMORE NEL DESERTO

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Ecco, la sedurrò di nuovo, la condurrò nel deserto,   parlerò al suo cuore…Là mi risponderà come nei giorni della giovinezza. (Osea 2, 16-17)

         Tutto era iniziato con un’esperienza a prima vista sconcertante. Il profeta aveva sposato una prostituta, Gomer bat-Diblaim. È difficile decidere se si trattasse di una meretrice in senso stretto o piuttosto se, sotto quel termine spregiativo, si celasse l’allusione a una sacerdotessa dei culti pagani di indole sessuale in uso tra gli indigeni della Terra Santa, i Cananei. Certo è che Osea, vissuto nell’VIII secolo a. C., aveva narrato per due volte questa vicenda autobiografica in apertura al suo libro profetico.

         La donna gli aveva dato due figli e una figlia e poi aveva abbandonato il focolare domestico. Il profeta, nel capitolo 2 del suo testo, aveva, così, affidato alla poesia i suoi sentimenti di innamorato tradito. Da un lato, avrebbe voluto divorziare da lei, facendola denunziare dai suoi figli e spogliare nuda nella pubblica piazza, togliendole la dignità dell’abito nuziale e allontanandola per sempre. D’altro lato, però, questa detestazione veemente non riusciva a spegnere, anzi, accendeva sempre più il sottile, invincibile amore che per questa donna Osea provava costantemente.

         Ed ecco, allora, che il soliloquio si trasforma in una sorta di sogno. È la speranza che Gomer, abbandonata e delusa dai suoi amanti, “ritorni” sulla strada di casa (e il verbo “ritornare” in ebraico significa anche “convertirsi”): «Tornerò da mio marito! Con lui ero ben più felice di adesso!» (2, 9). Il profeta immagina già la scena di quel giorno tanto atteso: la riabbraccerà, la corteggerà, celebrerà con lei di nuovo il fidanzamento, le nozze e la luna di miele, con un viaggio nuziale nei luoghi della loro giovinezza.

         Là, appartati negli spazi immensi del deserto, si stringeranno l’uno all’altra sussurrandosi parole dolci. Sono proprio i versetti che abbiamo ora proposto come un gioiello poetico, umano e spirituale: quel «parlerò al suo cuore» in ebraico è letteralmente «parlerò sul suo cuore», per marcare maggiormente l’intimità assoluta di quella stretta che cancella un passato di tradimento e di sofferenza. È, questa, purtroppo una storia vissuta da molte coppie e destinata – forse come accadde anche a Osea – a restare un sogno.

         Perché, allora, il profeta ce l’ha narrata? La risposta è facile. In filigrana alla sua vicenda autobiografica c’era la possibilità di delineare la parabola del comportamento di Israele nei confronti del Signore. Nel deserto, infatti, si era consumato il tradimento idolatrico del vitello d’oro. Ma Dio non si era rassegnato e aveva voluto trasformare quel luogo solitario nella sede dell’intimità in cui svelare di nuovo al popolo ebraico la sua parola e condurlo con amore verso la meta della libertà. E sempre il Signore penserà con nostalgia a questo “ritorno” di Israele a lui, come egli stesso confessa nel libro di un altro profeta, Geremia: «Mi ricordo con intensità della fedeltà amorosa della tua giovinezza, dell’amore del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata» (2, 2).