L’UNITÀ, REGINA DELLE VIRTÙ

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Fratelli, comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.

Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.

(Efesini 4, 1-6)

           La liturgia dell’Ascensione ci offre la lettura di una pagina della Lettera agli Efesini (4, 1-13): essa apre la sezione dello scritto in cui l’Apostolo, «prigioniero a motivo del Signore», presenta un programma di vita morale cristiana per i fedeli di questa splendida città dell’Asia Minore e, probabilmente, per tutti quelli che risiedevano in quell’area costiera mediterranea. Noi abbiamo ritagliato di quel vasto brano solo la prima parte (4, 1-6): ricordiamo che la liturgia ha adottato anche la seconda perché in essa appare un’allusione all’ascensione di Cristo, modulata sulla base di una citazione del Salmo 68, 19 («Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini»), liberamente applicata da san Paolo alla figura di Cristo che ascende al cielo.

            Il nostro testo è, invece, molto più immediato e si fonda su una sequenza di virtù che devono reggere la vocazione cristiana. Una di esse, l’“unità”, è però considerata come la regina di questo ideale corteo. Facciamo scorrere la fila di queste virtù. La prima a venirci incontro è l’“umiltà” che è rispetto della grandezza di Dio, ma anche la radice della fraternità tra di noi: «Non fate nulla per spirito di rivalità – scrive Paolo ai Filippesi (2, 3) – o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stessi».

            Ecco, poi, la “dolcezza” o mitezza che ci rimanda spontaneamente all’autoritratto di Gesù presente in Matteo 11, 29: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore». La terza virtù è la “magnanimità” che altrove l’Apostolo considera come un dono dello Spirito Santo (Galati 5, 22) e come frutto dell’amore (1 Corinzi 13, 4): la “grandezza d’animo” respira la libertà dello Spirito di Dio che «soffia dove vuole» e si nutre dell’amore che non conosce confini. La quarta virtù è proprio l’agápe, cioè l’amore. È a questo punto che entra in scena quella che abbiamo definito la regina delle virtù, l’henótes, l’“unità”, che ha come ancella la pace.

            Paolo intona un vero e proprio inno all’unità che è un principio umano e divino, come appare dalla serie di elementi in cui questa virtù brilla e si manifesta in pienezza. C’è innanzitutto «un solo corpo e un solo spirito», ossia l’unità profonda dei credenti che costituiscono in Cristo un solo corpo e un solo spirito, in sintonia piena d’amore. C’è, poi, la comune meta della speranza verso cui tutti i cristiani tendono; ma c’è anche la sorgente ideale di questo fiume che conduce la vita del fedele alla speranza dell’incontro con Dio e che è la “vocazione” alla fede. Quest’ultima è anch’essa “una sola” sia per l’unicità del contenuto di verità sia come unica via di salvezza. E unico è il battesimo attraverso il quale tutti sono redenti.

            Ma dopo la sequenza dell’unità-unicità “umana” (corpo, spirito, speranza, vocazione, fede, battesimo), si presenta davanti a noi la gloriosa unità divina: «un solo Signore», cioè Cristo, e «un solo Dio e Padre». L’universale paternità di Dio è rappresentata in maniera dinamica, mentre si irradia in tutta la famiglia umana e nella comunità dei credenti. Ma sulla scia di altri passi paolini, possiamo anche pensare che egli agisca in ogni realtà cosmica, come si legge in 1 Corinzi 8,6: «C’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui, e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui».