LA GIOIA DI DONARE

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Soccorrete i deboli, ricordando le parole del Signore Gesù: «Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!» (Atti 20, 35)

         Dalla città di Efeso erano scesi per 80 chilometri fino al porto di Mileto, sulla costa egea dell’attuale Turchia. Erano i “presbiteri” che gestivano la comunità cristiana insediata in quella splendida città, ove san Paolo aveva vissuto momenti intensi di gioia, ma anche di paura a causa di tensioni coi residenti pagani. Si erano recati laggiù per un saluto che aveva il sapore di un addio. Sì, perché l’Apostolo sentiva che non sarebbe più tornato là in quell’Asia Minore ove aveva profuso il suo impegno missionario. L’attendeva, infatti, l’arduo rientro a Gerusalemme, sede di un’ostilità non troppo celata nei suoi confronti. Ma – e questo egli non lo poteva ancora prevedere – lo aspettava il viaggio estremo, quello per Roma, col ricorso in appello alla suprema cassazione imperiale e il martirio.

 

         Ora, comunque, nella città che era stata la patria della famosa cosiddetta “scuola ionica” dei filosofi Talete, Anassimene e Anassimandro, san Paolo pronunzia un discorso d’addio che – come l’ha definito uno studioso, Jacques Dupont – si trasforma nel suo «testamento pastorale». Un discorso venato di malinconia e di tenerezza («so che non vedrete più il mio volto»), percorso dal fremito per i rischi che la Chiesa di Efeso correva a causa di alcuni «lupi rapaci», cioè falsi pastori che si erano infiltrati nel gregge di Cristo, scandito anche dall’appello all’amore per i deboli e i poveri.

 

         È proprio in quest’ultima linea che abbiamo voluto raccogliere per il nostro florilegio di passi belli e profondi della Bibbia un piccolo fiore profumato. Esso riveste poi un interesse particolare perché si tratta di un lóghion (come lo chiamano gli esegeti in greco), ossia di un “detto” di Gesù che non è citato nei Vangeli, ma che l’Apostolo aveva appreso attraverso la predicazione orale dei discepoli-testimoni della vita di Cristo. Certo, la frase ci riconduce all’incessante monito cristiano all’amore per il prossimo, con una generosità senza limiti.

 

         Ci riporta a quella legge – a prima vista stravagante (e non solo per l’economia) – del “perdere” per “trovare”, un paradosso che però ben conosce chi ama veramente. Gli innamorati non “risparmiano” e non “si risparmiano”, perché sanno che tutto ciò che donano viene ridonato loro in pienezza per altre vie e con un altro scambio. Noi, però, vorremmo marcare un aspetto particolare in questo detto di Gesù. Nell’originale greco per designare la gioia si usa makárion che indica la “beatitudine”.

 

         È nota la sequenza delle Beatitudini che aprono il celebre Discorso della montagna (Matteo 5, 3-11): esse incarnano l’atteggiamento fondamentale del discepolo del Regno che trova la sua felicità e la pienezza di vita nella purezza assoluta del dono della sua esistenza a Dio e ai fratelli. È, quindi, molto più di una gioia psicologica, è una scelta totale di vita che ti iscrive già nel regno di Dio. Dopo aver sentito evocare lo spirito profondo del Vangelo, «tutti scoppiarono in un pianto spontaneo – narra san Luca negli Atti – e, gettandosi al collo di Paolo, lo baciavano, addolorati soprattutto perché aveva detto che non avrebbero mai più visto il suo volto» (20, 37-38).