MOLTE MEMBRA, UN SOLO CORPO

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Come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo.   (1 Corinzi 12,12)

 

         Tutti abbiamo provato a fermarci davanti a un bambino e a rimanere stupiti di fronte a quel microcosmo ove s’intrecciano organi, dinamismi, congegni sofisticati, segreti. Tutti abbiamo avuto tra le mani una pietra, sbozzata dagli agenti atmosferici, anch’essa dotata di componenti suggestive, ma inerte, “definita”, rigida e frigida. Ecco, san Paolo – anche se non sviluppa la comparazione che ora noi abbiamo voluto proporre – ci conduce, con la frase che abbiamo desunto dalla Prima Lettera ai Corinzi, a una riflessione sulla Chiesa, raffrontandola appunto a un corpo, anzi al corpo stesso di Cristo.

         Forse l’Apostolo ricorre alla filosofia stoica che allora dominava e che concepiva l’umanità come un corpo unitario dalle molteplici membra: l’insieme vive e si esprime proprio perché è fatto di diversità e di unità. Tutti ricordano il celebre apologo di Menenio Agrippa che cercava di giustificare le differenti classi e funzioni per un armonico sviluppo della società. In verità, quell’immagine aveva il suo rovescio perché giustificava prevaricazioni e squilibri sociali, tant’è vero che il cristianesimo, proprio con san Paolo, proclamerà che «non c’è Giudeo né Greco, non c’è schiavo né libero, non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Galati 3, 28).

         Tuttavia, è indiscutibile che, come l’organismo umano è vario e unitario, così nella stessa maniera la Chiesa dev’essere una e molteplice, se vuole continuare a mantenersi viva. Ecco perché abbiamo voluto evocare anche il simbolo di una pietra. La comunità cristiana non può essere un monolito, squadrato, freddo, pesante. La sua realtà è viva, mobile, creativa. Come Cristo durante la sua esistenza terrena parlava, operava, viveva con la varietà degli organi del suo corpo, così ora parla, opera, vive nella storia continua dell’umanità attraverso il corpo della Chiesa che è fatto di tante membra quanti sono i fedeli, ciascuno col suo dono personale e la sua funzione.

         Tutti sono necessari, se non si vuole avere un corpo imperfetto e impedito o fatto di ossa spezzate e di membra atrofizzate. È ancora Paolo a sviluppare l’idea mediante una serie di esempi: come si fa ad agire senza la mano o l’orecchio o l’occhio o l’odorato? E se questi organi fossero autonomi, separati dall’unità del corpo, che destino avrebbero? E «la testa può dire ai piedi: Non ho bisogno di voi?» (12, 21). È in questa luce che fioriscono quei doni che l’Apostolo chiama “carismi”, una parola greca che indica appunto la dotazione, la grazia propria e specifica che ognuno di noi possiede e che è sorgente di un’armonia multiforme.

         Se teniamo questo dono personale come una realtà egoistica, custodendolo nello scrigno di noi stessi, esso s’inaridisce e si polverizza. Se invece si effonde, crea vitalità, si rivela fecondo ed efficace, anzi necessario per gli altri. La frase paolina che abbiamo citato si trasforma, allora, da immagine in una vera e propria lezione teologica sulla Chiesa una e molteplice. Ascoltiamola dalle parole stesse dell’Apostolo: «Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito. Ma essa è per il bene comune» (1 Corinzi 12, 4-7).