IL TEMPO BREVE

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Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo! (1 Corinzi 7, 29-31)

 

            Allora era una metropoli di almeno seicentomila abitanti, dotata di due porti, attraversata dalla via del Lechaion, il cuore elegante della città. Corinto brulicava di una massa eterogenea di commercianti, di marinai, di intellettuali, ma anche di una fauna umana di imbroglioni, prostitute, affaristi, miserabili e viziosi. San Paolo, scrivendo la sua Prima Lettera ai cristiani corinzi, deve affrontare il tema delle realtà terrene in cui quella comunità era inserita e lo fa da diverse angolature. Nel frammento che la liturgia propone per questa domenica la riflessione cade sul limite, sulla fragilità e caducità che sono insite nelle cose e nella stessa esistenza umana.

            L’Apostolo non parla del chrónos, che in greco è appunto il tempo “cronologico” oggi regolato dagli orologi, bensì del kairós che è il tempo nel suo contenuto di azioni umane, di vicende, di eventi. Egli lo sente “breve” e l’originale greco rimanda suggestivamente all’atto con cui si ritirano e si ripiegano le vele di una nave quando ha finito la sua corsa. Ecco, allora, la sua proposta che potrebbe a prima vista sconcertare, se la si dovesse intendere come una sorta di ascetismo fine a se stesso: vivere senza sentire più i legami familiari, senza più reagire alle emozioni, senza più impegnarsi nell’esistenza civica e sociale, senza più essere coinvolti nella storia.

            Tuttavia, non può essere – quello proposto da Paolo – un distacco masochista e isolazionista, che fa decollare dalla realtà verso cieli mitici e mistici, perché si smentirebbe l’anima stessa del cristianesimo, l’incarnazione che introduce il divino nella storia umana. L’Apostolo vuole solo stabilire una gerarchia di valori. Non dobbiamo, cioè, attaccare il nostro cuore alle cose e ai piaceri come a una meta o a un idolo. È quello che Paolo chiama in greco lo schêma, ossia la “figura” esteriore, la struttura concreta caduca del mondo, l’apparente suo peso che in realtà è destinato ad alleggerirsi in polvere.

            Anche Gesù invitava a “comprendere questo tempo” in cui siamo inseriti non attaccando il nostro cuore ai tesori che vengono scassinati dai ladri o consunti dai tarli, non tormentandosi nell’affanno del possesso, bensì a scegliere la via della conversione al Regno di Dio e alla sua giustizia (Matteo 6, 19-34). Vorremmo concludere con due testimonianze contemporanee “laiche”. Il celebre drammaturgo Samuel Beckett, nella sua opera Finale di partita (1957), presentava questo dialogo tra i due protagonisti: Hamm: «Che ora è?» e Clov, il servo, rispondeva: «La stessa di sempre». È la tipica raffigurazione del vuoto che attanaglia la società moderna, che vive sopravvivendo all’interno di un tempo sempre uguale e privo di senso. Ecco, allora, l’altro monito, più “paolino”, dello scrittore argentino Jorge Luis Borges che invita a scoprire la “densità” e la forza del tempo: «Non c’è mai un istante che non sia carico come un’arma!».