SETTANTASETTE VOLTE
Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamek settantasette! (Genesi 4, 23-24)
C’è una tragica potenza in questo “canto della spada” intonato da uno dei discendenti di Caino, Lamek. Col suo urlo selvaggio egli incarna la logica della violenza che non si accontenta della “equilibrata” legge del taglione: «occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido» (Esodo 21, 24-25). All’equazione “1 a 1”, propria della giustizia distributiva, che a ogni colpa impone una pena parallela, qui si oppone la formula “7 a 77”.
Con essa si introduce – attraverso il ricorso al numero 7 che è indice di pienezza – una reazione spropositata, una ritorsione illimitata, il cieco furore che annienta il nemico. Uno mi ha fatto un graffio – minaccia questo personaggio abitante nel deserto geografico e sociale –, io lo uccido. Uno mi ha colpito ferendomi, ebbene io gli ammazzo il figlio. È la fosca spirale della guerra che mira allo sterminio dell’avversario. È lo spirito vendicativo e forcaiolo che spesso alberga anche in persone insospettabili: chi non ricorda la serie dei film dedicati al “giustiziere”, ossia la cittadino pacifico che, divenuto vittima di un’offesa pur grave, si trasforma in un implacabile Lamek che semina sangue senza mai saziarsi?
Il mostro della violenza sonnecchia dentro di noi ed è accovacciato accanto alla porta blindata delle nostre abitazioni, come già indicava lo stesso libro della Bibbia poche righe prima, descrivendo il delitto emblematico della storia, il fratricidio perpetrato da Caino (Genesi 4,7). Nell’Apocalisse, quando si descrive la terribile cavalcata dei quattro cavalieri che attraversano le regioni del mondo, si mette in scena un cavallo rosso fuoco: «a colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra e far sì che si sgozzassero a vicenda, e gli fu consegnata una grande spada» (6,4).
Questo cavaliere ha da allora un corteo di seguaci celebri e ignoti: è la folla senza numero dei violenti che imperversano sulla faccia della terra. Lo scrittore francese Charles Péguy, nella sua opera Il mistero dei Santi Innocenti (1912), metteva in bocca a Dio questo amaro soliloquio: «Gli uomini preparavano tali orrori e mostruosità che io stesso, Dio, ne fui atterrito. Non ne potevo sopportare l’idea. Ho dovuto perdere la pazienza, eppure io sono paziente perché eterno. Io ho anche un volto di sdegno e di giustizia!».
Ma a suggello di questo cupo frammento, vorremmo ritornare all’equazione “7 a 77” proposta da Lamek, per ricordare che anche Cristo – alludendo proprio a questo canto fosco – ha voluto proporre ai suoi seguaci un’equazione parallela ma antitetica. Accade in un dialogo con l’apostolo Pietro e non ha bisogno di commento. Ascoltiamola. «Pietro disse a Gesù: Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte? Gesù gli rispose: Non ti dico fino a 7 volte, ma fino a 70 volte 7!» (Matteo 18, 21-22).