PANIKKAR E RIES

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Dev’essere amante del rischio e avere una forte dose di coraggio l’editore che decide di imbarcarsi nell’avventura di inaugurare e soprattutto far proseguire la pubblicazione dell’Opera omnia di un autore. Tra costoro un posto in prima fila lo merita Sante Bagnoli con la sua Jaca Book, la nota casa editrice milanese. Egli, infatti, ha messo in cantiere – e i lavori sono ancora in corso e non minacciano interruzioni o sospensioni o lungaggini infinite (si pensi al caso delle cosiddette «Edizioni Nazionali») – ben cinque Opera omnia di personaggi che non si sono risparmiati nello scrivere: i grandi teologi Henri de Lubac, Hans Urs von Balthasar, persino un autore vivente come il teologo milanese Inos Biffi, e due figure originali nella cultura di questi ultimi decenni, lo storico delle religioni belga Julien Ries e il sempre sorprendente Raimon Panikkar.

         Di questi ultimi due vorremmo ora rendere conto, avendo anche avuto l’occasione di incontrare entrambi: il primo, in occasione di qualche congresso e della sua creazione a cardinale nel 2012 per volere di Benedetto XVI, il secondo a Milano con un dialogo seguito da una folla imponente e fin assorta nel Duomo della città. Sì, perché Panikkar aveva una capacità di incantesimo quasi magico nelle molteplici lingue che maneggiava in modo sempre creativo, in un incessante sfarfallio di idee, di immagini, di intuizioni. Nato a Barcellona nel 1918 da madre catalana e padre hindu, laureato in filosofia, in teologia (fu ordinato sacerdote nel 1946), ma anche in chimica, pellegrino in quella sua seconda patria che fu l’India, professore invitato nelle più prestigiose università, partecipe a infiniti incontri e convegni, autore di un’intera biblioteca di saggi, si ritirò negli ultimi anni nel villaggio di Tavertet della sua originaria Catalogna, ove si spense nel 2010.

         La sua fu un’oscillazione costante tra due orizzonti, l’occidentale e l’orientale soprattutto indiano, coniando una spiazzante autodefinizione: «Sono nato cristiano, mi sono scoperto hindu e ritorno buddhista, senza tuttavia smettere di essere cristiano». D’altronde, già in vita ebbe biografi che trovavano in un’esistenza così mobile e creativa spazio per esercitarsi liberamente (penso al Panikkar del polacco di adozione italiana Maciej Bielawski, pubblicato nel 2018 da Fazi). Noi ora ci accontentiamo solo di segnalare il flusso incessante della versione italiana dell’Opera omnia citata, che ora approda al quattordicesimo tomo dedicato al suo Pensiero filosofico e teologico, anello di una catena che lui stesso, d’intesa con l’editore aveva disegnato, coprendo un arco letterario di quasi settant’anni, assistito sempre da una studiosa italiana di grande competenza e finezza ermeneutica (qualità indispensabili per un autore così proteiforme), Milena Carrara Pavan.

         Lo spettro cromatico della sua ricerca procede, infatti, dalla mistica alla spiritualità, dal fenomeno religioso in sé alle religioni, dal cristianesimo all’induismo e al suo dharma, dal buddhismo al dialogo interreligioso e interculturale, dall’ermeneutica (mito, simbolo, culto, parola) al pensiero filosofico (in confronto coi maggiori personaggi del Novecento), dalla Trinità divina presente anche nella trilogia Dio-uomo-cosmo, fino alla secolarità, allo spazio, alla scienza, alla storia. Quest’ultimo capitolo tematico è stato spesso oggetto della dialettica con vari teologi cristiani, come lo fu anche con me in quella serata milanese, così come lo è stato nel dialogo a cui ci riferiamo ora, intessuto col poeta e scrittore messicano Octavio Paz (1914-1998), Nobel 1990 della letteratura.

         Costui era stato ambasciatore del suo paese in India dal 1962 al 1968 e là aveva conosciuto Panikkar. Anni dopo, il 13 maggio 1982 la televisione messicana organizzò un confronto tra i due sul tema «Oriente e Occidente», un duetto piuttosto aspro in alcuni punti, destinato a scontentare entrambi, i cui sguardi erano divergenti anche per la passione che li alimentava. Abbiamo ora la possibilità di assistere a quel dibattito attraverso la sua trascrizione ed è qui che possiamo intravedere nel delta dei temi, quel concetto di storia che in queste pagine è ulteriormente approfondito da un testo allegato composto nel 1971, sempre in relazione a Paz, dal titolo emblematico: Il cerchio: solo se il tempo è circolare vale la pena di romperlo. È noto che la concezione biblica e, in genere occidentale, vede invece la storia percorrere un tragitto direzionale, sia pure non ingenuamente evolutivo, ma non di rado scandito da un incessante progresso (sarà questa anche la prospettiva marxiana).

         Nella visione delle Scritture Sacre si esclude, perciò, sia il mito regressivo dell’età dell’oro, ma soprattutto una reiterabilità ciclica, tranne in Qohelet/Ecclesiaste (si leggano i cc. 1 e 3 di quel libro biblico), e si propone una storia messianica, segnata dall’inatteso, dai «novissimi» escatologici, dalla speranza, sia pure talora frantumata dal peccato dell’uomo. La visione orientale è, invece, circolare e Panikkar tenta di comporla con quella biblica attraverso l’immagine della spirale, cercando così di conservare entrambe le proiezioni. La spirale a cerchi progressivi diventa simbolo di infinitezza e di apertura e non di chiusura nel circolo di sua natura concluso in sé. È, questo, solo un cenno alla complessità, alla fluidità e alla simbolicità metaforica della sua riflessione, sbrigativamente accusata di sincretismo e persino di immanentismo da taluni, ma effettivamente ardua da seguire nelle sue ramificazioni e nello stesso dettato scintillante. La convinzione di fondo generale era così ben espressa dallo stesso Panikkar: «Non siamo monadi isolate ma ognuno di noi è un microcosmo che rispecchia e influisce sul macrocosmo di tutta la realtà, come hanno creduto la maggioranza delle culture parlando del Corpo di Siva, della comunione dei santi, del Corpo mistico, del karman e così via».

         In questa prospettiva interreligiosa è possibile passare all’altro protagonista, Julien Ries: l’Opera omnia che lo riguarda propone, infatti, una mappa ricchissima che spazia dal cristianesimo alle religioni dell’antico Oriente (Mithra, l’India dei Veda, Zarathustra e il mazdeismo), si inerpica negli arabeschi teorici della dottrina gnostica e manichea (quest’ultima oggetto di analisi molto acute), risale alle religioni dell’antico Vicino Oriente con l’osirismo e le teologie regali egizie e con l’ingresso prepotente dell’ellenismo. Ma il contributo fondamentale offerto da questo studioso è la sua analisi delle strutture radicali dell’esperienza del sacro, che si esprime nella costellazione dei riti e dei miti, nell’aderenza esistenziale ai valori spirituali, nell’attesa dell’eternità.

         In questo quadro un rilievo particolare riveste il simbolo alla cui interpretazione si è già consacrata una legione di studiosi (Bachelard, Cassirer, Durand, Eliade, Jung, Leroi-Gourhan, Ricoeur, Vidal, tanto per fare qualche nome). E all’homo symbolicus, che è il lineamento più marcato dell’homo religiosus, è appunto consacrato l’ultimo tomo finora pubblicato (è il tredicesimo) dell’architettura globale delle opere di Ries. Pur essendo frutto di oltre trenta interventi diversi, il volume è simile a un mosaico perfetto nella sua iconografia, perché scava nella genesi, nel linguaggio e nel significato di questa che è una sorta di «carta d’identità» dell’uomo. L’ominizzazione ha, secondo lo studioso (e molti altri suoi colleghi), il suo compimento proprio attraverso l’approccio simbolico.

         Diventa, così, affascinante l’itinerario da lui proposto: esso parte alle sorgenti della preistoria per discendere diacronicamente fino al cristianesimo, superando vari gradini e soprattutto pellegrinando all’interno della fantasmagoria dei grandi simboli e della loro molteplice declinazione nelle diverse esperienze religiose. Un vero e proprio orizzonte luminoso e coinvolgente che ha proprio nella religione un suo asse, diramandosi poi nell’arte, nella letteratura, nella vita sociale, nella filosofia, nella stessa scienza e, come è noto, nella psicoanalisi.

 

GIANFRANCO RAVASI

 

 

 

 

 

Raimon Panikkar dialoga con Octavio Paz, Parliamo degli stessi mondi?, Jaca Book, Milano, pagg. 92, € 14,00.

Si veda anche Raimon Panikkar, Pensiero filosofico e teologico, Tomo 2, Filosofia e teologia, Jaca Book, Milano, pagg. 672, € 50,00.

Julien Ries, Simbolo. Le costanti del sacro, Jaca Book, Milano, pagg. 297, € 35,00.

Pubblicato col titolo: Ponte di idee tra Est e Ovest, su IlSole24ORE, n. 273 (04/10/2020).