DALL’AFRICA AL CAUCASO

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Non sono pochi quelli che qui in Italia guardano con supponenza e persino con una punta di disprezzo (ignoriamo ovviamente i truci razzisti) i gruppi di africani che sbarcano sulle nostre coste provenienti dal litorale mediterraneo tunisino o libico. Paradossale è questo atteggiamento quando è praticato da cattolici, perché proprio quelle sponde hanno ospitato nei primi secoli cristiani un’élite intellettuale di autori che avevano abbracciato la fede di Cristo e le cui opere sono tra le matrici della nostra cultura occidentale. Un nome emblematico per tutti è sant’Agostino, nato a Tagaste nell’attuale Algeria; ma la lista sarebbe lunga e colma di nomi i cui scritti non si studiano solo nelle facoltà teologiche ma anche nei dipartimenti di filosofia o di lettere classiche delle università «laiche».

         Da quell’elenco selezioniamo un personaggio poco noto al grosso pubblico, la cui unica opera, di mole abbastanza modesta, ebbe uno straordinario successo e registrò un accanito interesse da parte degli studiosi. Stiamo parlando di Minucio Felice e del suo Ottavio. Pagano convertito, di professione avvocato (evoca, ad esempio, «le ferie della vendemmia che sospendono le occupazioni del foro» giudiziario), piuttosto critico nei confronti della Roma imperiale, a livello teologico forse in connessione con un altro grande autore cristiano africano, Tertulliano (ma sulla questione, rilevante anche ai fini della cronologia, acceso è il dibattito tra i suoi esegeti), Minucio compone nella prima metà del III secolo un dialogo che, personalmente, vorrei classificare come un antenato del «Cortile dei Gentili».

         Intendo riferirmi a quegli spazi di confronto culturale tra credenti e non credenti che, su sollecitazione di papa Benedetto XVI, da anni il dicastero vaticano della cultura ha istituito, ammiccando allo spazio del tempio di Gerusalemme a cui potevano accedere anche i «Gentili», le gentes, i pagani considerati «atei» dagli ebrei a causa della loro idolatria. Naturalmente l’atteggiamento e la finalità di Minucio Felice sono diversi, inserito com’è nell’alveo dell’incipiente apologetica cristiana. Siamo, comunque, in presenza di un dialogo tra una triade di amici, lo stesso Minucio con Ottavio, entrambi cristiani, e il pagano Cecilio. Lo sfondo topografico è la spiaggia di Ostia.

         Non entriamo nel merito dei discorsi di quel trio, perché vorremmo lasciarlo alla lettura diretta del testo. Ricordiamo solo che Ottavio con la sua straordinaria dialettica argomentativa riesce a far confessare a Cecilio la sua sconfitta di fronte alle ragioni addotte da Ottavio, attuando così in pienezza le esigenze del genere apologetico, anche se l’autore Minucio – che nel dialogo ha la funzione di arbitro – si rivela originale nella selezione e nello sviluppo dei tópoi caratteristici di questa letteratura. Abbiamo evocato quest’opera perché è stata riproposta un’edizione ormai «classica» di quel testo latino, qui accompagnato dalla traduzione, da una vasta introduzione e da un fittissimo commento che procede quasi parola per parola. A elaborare questa edizione critica è stato un personaggio molto speciale nel panorama scientifico ma anche ecclesiale italiano.

         Si tratta di Michele Pellegrino (1903-1986), un sacerdote piemontese, nato da una famiglia di muratori, salito in cattedra all’università di Torino nel 1948, creatore di una vera e propria «scuola» di studiosi di letteratura cristiana antica, nominato nel 1965 arcivescovo di Torino e creato cardinale nel 1967 da Paolo VI. Grande intellettuale, fu anche un appassionato pastore, animato dallo spirito del Concilio Vaticano II. L’Ottavio che ora viene riproposto è appunto il frutto dei suoi studi, pubblicato nel 1947, riedito nel 2000 e ora riveduto e aggiornato da due tra i maggiori cultori di questa disciplina accademica, Marco Rizzi e Paolo Siniscalco. Per chi vorrà percorrere questo scritto sarà come compiere un viaggio in quell’orizzonte africano a cui sopra accennavamo, scoprendone la ricchezza filosofica e culturale e la potenza dialettica. Erano in azione due mondi che si scontravano, sì, ma anche si incontravano, si ascoltavano, approfondivano le loro argomentazioni, a differenza di quanto sembra accadere nei nostri giorni sospesi tra rigetto e superficialità.

         A questo punto suggeriamo un altro viaggio in un tempo e in uno spazio geografico molto diversi rispetto alle coordinate di Minucio Felice. A condurci è uno «schimonaco», ossia un membro di una delle skite, priorati ortodossi dipendenti da un monastero maggiore. Il suo nome è Ilarione, un russo nato nel 1845, divenuto monaco del monte Athos, ma ritiratosi poi a vita eremitica nelle aspre solitudini dei monti del Caucaso, ove morirà nel 1916. Nel 1907 egli aveva composto un «dialogo di due anacoreti» di quella regione: essi cercavano di inoltrarsi sui sentieri d’altura della «preghiera di Gesù», avendo appunto come fondale spaziale le montagne del Caucaso, il sistema montuoso che si allarga dal mar Nero al mar Caspio, lungo due catene parallele, il Grande e il Piccolo Caucaso.

         Il panorama desertico di quelle vette, impervie e inospitali, era diventato l’atmosfera rarefatta non solo di un’esistenza ascetica ardua ma anche il grembo di una speculazione teologica complessa eppur affascinante. La «preghiera di Gesù» è così definita da Ilarione: «Una misteriosa comunione e unione della nostra anima con il Signore Gesù Cristo, Fonte della Vita… È amore di Dio, santificazione del cuore, riconciliazione con Dio, confessione della fede, nutrimento dell’anima e nostra beatitudine». È, quindi, un’esperienza mistica: essa fu alla base di un movimento vero e proprio detto «onomatodosso», presente nei monasteri russi del monte Athos dal quale fu sradicato con violenza. Il dato esistenziale è accompagnato anche da un’analisi più sistematica che si annoda attorno alla formula «Il nome di Dio (Cristo) è Dio». Non si tratta di una tautologia perché – come scrive nella sua accurata «postfazione» Adalberto Mainardi, un monaco della nota comunità di Bose (Biella) a cui si deve l’edizione italiana dell’opera – «nominare Dio non è un’operazione innocua; parlare di Dio significa frequentare i confini dell’inesprimibile o perdersi nel vaniloquio». Chi seguirà i 44 capitoli di quel dialogo-monologo, resterà avvoltolato come in una ragnatela teologico-spirituale dalla quale ci si libera a fatica, restandone un po’ avvinti e un po’ soffocati.

         Si comprenderà, allora, perché questo scritto abbia «scatenato dibattiti infuocati nei monasteri dell’Athos, mentre in Russia produsse un’ampia discussione nella società», come scrive nella sua prefazione una delle figure più eminenti dell’Ortodossia russa attuale, stretto collaboratore del patriarca di Mosca Kirill, ossia il metropolita Ilarion Alfeev, il quale aggiunge: «Il libro dello schimonaco Ilarione merita di essere incluso nel fondo aureo della letteratura spirituale russa accanto ai famosi Racconti di un pellegrino russo».

         Post scriptum. Alle soglie del nuovo anno è spontaneo indirizzare un augurio per i lettori della nostra pagina dedicata alla «Religioni e società». Lo facciamo attraverso il rimando – un po’ insolito – a un’agenda 2021. È quella, veramente straordinaria e affascinante, approntata dalla Biblioteca Apostolica Vaticana con una selezione dei suoi tesori di codici miniati, di incunaboli, di disegni, di stampe, di numismatica che scandiscono le date dell’anno. Basta solo aprirla per avere subito davanti agli occhi una miniatura del Paradiso dantesco appartenente al mirabile codice «Barberini latino 4112» con la Divina Commedia. Un’agenda che può diventare una catarsi dell’occhio dalle tante immagini di bruttezze e brutture a cui il nostro sguardo è e sarà costretto a rivolgersi.

GIANFRANCO RAVASI

Minucio Felice, Ottavio, a cura di Michele Pellegrino, Loescher, Torino, pagg. 355, s.i.p.

Schimonaco Ilarione, Sulle montagne del Caucaso, a cura di Adalberto Mainardi, Qiqajon, Bose (Biella), pagg. 470, € 35,00.

Biblioteca Apostolica Vaticana, Agenda 2021, € 20,00.

Pubblicato col titolo: La «traditio» della fede dall’Africa al Caucaso, su IlSole24ORE, n. 355 (27/12/2020).