LE MUCCHE VANNO IN PARADISO?

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Spesso anche gli ecclesiastici e persino i teologi si sono insediati lungo i viali informatici dei «social network» col loro sito Twitter, o su YouTube, Instagram e su Facebook. Rimane, però, sempre la vecchia cara carta stampata ove, oltre ai paludati saggi sistematici, essi cercano di sfondare con titoli e dettati sbarazzini, in modo da attrarre lettori sempre più abituati alle spezie forti del linguaggio «social». È il caso di un giovane domenicano francese, Franck Dubois, che dopo aver calcato una cattedra universitaria a Lille, si è trasferito a Strasburgo ove è impegnato nella cura pastorale dei cattolici ispanofoni di quella città. Il titolo del suo mini-saggio è decisamente spiazzante, Perché le mucche risuscitano (probabilmente), ed è sostenuto da un sottotitolo ancor più sconcertante e criptico, «Ovvero, perché mio padre non resterà tutta la vita bloccato in ascensore».

         Qualche nostro lettore concluderà: «Cosa si fa per cercare di rinfoltire le deserte panche delle chiese o per catturare un minuto di attenzione da parte delle orecchie di un pubblico giovanile, abituato a slogan o alla musica techno!». Effettivamente la trama del volumetto è scandita da capitoli che suonano così: «Il mistero dell’orsa vegana; Come mai Cicerone (che nella fattispecie è il nome del coniglietto caro alla mamma dell’autore) per andare in cielo conta su di te…» e così via. L’apice è raggiunto proprio dalla madre in questione che, dopo aver assistito alla discussione della tesi rigorosamente accademica del figlio domenicano (Il corpo come sindrome. Una teoria della materia in Gregorio di Nissa), dichiarava di aver compreso «perché le mucche risuscitano». E alla domanda sulla modalità, senza esitazione, aveva risposto: «Come filetto!».

         Già nella Genesi Dio assicura all’umanità del post-diluvio l’autorizzazione a cibarsi di animali (9,2-3), dopo un regime iniziale ideale quasi vegano (1,29-30). Anche il banchetto messianico-escatologico comprende secondo il profeta Isaia un menu generalista di «grasse vivande, di vini eccellenti e di cibi succulenti» (25,6). L’agnello pasquale era mangiato «arrostito al fuoco, con la testa, le zampe e le viscere», rispettando anche un «dress code» minuziosamente definito (Esodo 12,9-11). Animali e vegetali, quindi, sono intrecciati fisiologicamente con la persona umana attraverso il segno del cibo e, se si proclama la fede nella risurrezione, essi devono avere, se non altro per via indiretta, una qualche partecipazione.

         Ma c’è di più, nella linea proprio del coniglio di mamma Dubois: per molte persone iscritte a quella folla di solitudini che popola le nostre città, un cane o un gatto sono veri e propri compagni di dialogo, persino di amicizia e tenerezza, soprattutto quando gli umani ti hanno tradito o abbandonato. Ecco, allora, un sentiero più alto lungo il quale riproporre la stessa domanda, formulata in modo ancora pittoresco: è prevista nell’oltrevita l’esistenza di una sorta di giardino zoologico, come nel paradiso terrestre? In forma più pacata e «teologica» si ripresenta il tema non meramente letteralista della risurrezione e della salvezza finale come ri-creazione dell’intero essere. Sorprendente è la certezza del Salmista biblico: «Uomini e bestie tu salvi, o Signore» (36,7).

         Significativo è anche l’apostolo Paolo che, scrivendo ai cristiani di Roma, delinea «l’ardente aspettativa della creazione, protesa verso la rivelazione dei figli di Dio… nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (8,19-21). Interessante è questo riferimento esplicito all’intera «creazione», in greco ktísis. Siamo, dunque, davanti a un quesito che in questi ultimi tempi è stato messo sul tappeto con insistenza, considerando l’attuale sensibilità animalista e persino vegetariana. Detto in forma semplificata: le creature non umane sono convocate anch’esse all’eternità? O, invece, la redenzione operata da Cristo è solo antropologica?

         Tempo fa abbiamo presentato un saggio teologico nel senso classico del genere, l’Etica animale di Martin M. Lintner (Queriniana 2020), che ora firma anche la postfazione all’edizione italiana del libro di Dubois. La ricerca teologica su questo orizzonte è ancora lacunosa e affidata spesso a incursioni vivaci, come quelle condotte in passato da una figura originale e geniale, Paolo De Benedetti, pioniere di una Teologia degli animali (a cura di Gabriella Caramore, Morcelliana 2007), a partire dalla sua personale passione di gattofilo (passione in cui eccelleva persino Montaigne).

         Certo è che, al di là degli eccessi fantateologici, è da riconsiderare in modo più puntuale (e Dubois a suo modo lo fa, sia pure sotto il velo delle sue pagine piuttosto colorite) il programma suggerito da papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ (2015), destinato a superare «un antropocentrismo dispotico che non si interessa delle altre creature»: «Oggi la Chiesa non dice in maniera semplicistica che le altre creature sono completamente subordinate al bene dell’essere umano, come se non avessero un valore in se stesse e noi potessimo disporne a piacimento» (nn. 68-69). Ed è stato lo stesso papa Francesco, durante un’udienza generale del 2014, a dire a un bambino in lacrime per la morte del suo cane: «Un giorno rivedremo i nostri animali nell’eternità di Cristo».

GIANFRANCO RAVASI

Franck Dubois, Perché le mucche risuscitano (probabilmente), Queriniana, pagg. 120, € 14,00.