INDAGINE SUL «CUORE» MEDIEVALE

biblioteca

Da sempre questo organo motore dell’apparato circolatorio chiamato «cuore» si è trasformato in un segno capitale anche per lo spirito. È ciò che appare in una raffinata raccolta di saggi dal titolo emblematico Schola cordis, un sintagma imposto dal benedettino Benedetto di Haeften a titolo di una sua opera pubblicata ad Anversa nel 1629. Il sottotitolo della raccolta è, invece, esplicativo: «Indagini sul cuore medievale: letteratura, teologia, codicologia, scienza», e a sorpresa si apprende che il volume accademicamente filologico è edito con un contributo del «Centro per la Lotta contro l’Infarto».

         Senza deporre i paludamenti cattedratici, gli autori si affacciano, infatti, non di rado su orizzonti inattesi, come appare nella gustosa prefazione di una delle due curatrici, Donatella Manzoli, che non esita a rimandare al Cuore di De Amicis, a un’imponente filmografia e persino al sistema informatico opac sbn coi suoi 38729 titoli di opere in cui appare la parola «cuore». È ancora lei a impegnarsi, poi, in ambito storico-critico a un’«archeologia della rima cuore amore», attraverso una ricerca, in frequente contrappunto con la nostra modernità, attraverso ammiccamenti che vanno dalla vetta di Mozart per discendere fino a Riccardo Cocciante, Julio Iglesias, Mogol e Battisti, Jovanotti che, certo, impressionano accanto, ad esempio, a Venanzio Fortunato, poeta latino cristiano del VI secolo. Ed è un distico di Giorgio Caproni a guidare questo viaggio poetico: «Per lei torni in onore / la rima in cuore e amore».

         Anche l’altra curatrice, Patrizia Stoppacci, che dipana il groviglio delle semantiche e morfologie del «cuore medievale» si muove tra medicina, letteratura e arte, creando un fastoso e festoso affresco ove ci si imbatte in «donne di cuore» (ma anche «senza cuore»), in follie amorose e studi anatomici, nei palpiti cardiaci che sussultano nei codici pergamenacei e nelle tavole pittoriche, negli incensi della devozione per approdare a un metaforico «tastare il polso». A lei dobbiamo anche una brillante selezione iconografica (c’è persino un «canzoniere cordiforme») e un’accurata nota etimologica sulla parola cor di matrice indoeuropea (pag. 162).

         Considerato il nostro approccio, lasciamo a parte altri saggi per certi versi sorprendenti, come quelli di Paolo Garbini sulle «cardiologie della retorica normanna», di Elisabetta Bartoli sugli archetipi della «posta del cuore» nel XII secolo, di Iolanda Ventura che classifica le patologie cardiache nella medicina medievale, di Massimo Oldoni che ci fa conoscere i conflitti degli occhi e del cuore cantati da Filippo, cancelliere di Notre-Dame e magister dell’università di Parigi.

         La nostra attenzione, sia pure solo con uno sguardo sintetico, è rivolta ai due studi di natura teologica. Gaetano Lettieri, infatti, s’impegna a condurre uno spoglio sistematico delle Confessioni di Agostino nelle cui pagine il cor batte quasi duecento volte, rendendo così possibile applicare a questa singolare autobiografia un’«ermeneutica del cuore». Si configura una dimensione «estatica» nel senso etimologico dell’aggettivo, ossia uno «star fuori» del cuore, come si intuisce nell’avvio stesso delle Confessioni: il cor inquietum del santo è tale perché è mosso ed eccitato da Dio e, perciò, non ha posa finché in lui non si riposa.

         In verità, l’analisi che Lettieri conduce copre un’impressionante raggiera di «battiti» di quel cuore mistico: sono ben 25 i paragrafi di questa grammatica estatica agostiniana da lui elencati e tutti folgoranti. Il cuore è sede sia della teofania sia dell’epifania umana, registrate attraverso le emozionanti oscillazioni dell’autobiografia interiore del celebre Padre della Chiesa ove s’incrociano esperienze intime, sanguinanti e gloriose con squarci di trascendenza, di verità, di eternità.

         L’altro nostro sguardo va, poi, allo scritto che Alberto Bartola ha dedicato alla letteratura cisterciense del XII secolo, incarnata in due categorie fondamentali. La prima è quella dell’affectus cordis la cui matrice è vagliata nell’uso del Salterio biblico. Lo studioso sceglie due interpreti da porre sulla ribalta. Il primo è san Bernardo, il più appassionato ed esplicito nell’introdurre la dimensione «cordiale» (non tanto «sentimentale»), che coinvolge anche la volontà, la memoria e la stessa ragione. L’altro personaggio è Isacco della Stella, cisterciense inglese, ancor più netto nell’affermare la supremazia della ratio sul pur necessario fremere dell’affectus.

         L’altra metafora esaminata da Bartola è quella del liber cordis, sempre basato su fondamenti biblici, con riferimento all’alleanza con Dio scritta nelle tavole di carne del cuore (Geremia 31,33; 2Corinzi 3,2-3). Qui l’autore evocato è un maestro parigino, il cisterciense Alano di Lille, sempre del XII sec. Nella sua visione quel libro interiore si tripartisce in tre fascicoli, la Scrittura Sacra, l’esperienza e la coscienza. Il cuore, quindi, è destinato non solo a far scorrere il sangue nel corpo, ma è un simbolo del motore che fa pulsare l’anima. In questa scia metaforica luminosa brilla la promessa divina annunciata dal profeta Ezechiele: «Io darò loro un altro cuore… Strapperò dal loro petto il cuore di pietra e vi impianterò un cuore di carne» (11,19).

GIANFRANCO RAVASI

Schola cordis. Indagini sul cuore medievale: letteratura, teologia, codicologia, scienza, a cura di Donatella Manzoli e Patrizia Stoppacci, Edizioni del Galluzzo, Firenze, pagg. 267, s.i.p.