Les bêtes ne sont pas si bêtes que l’on pense: effettivamente che le bestie non siano poi così “bestiali”, come suggeriva Molière nell’Anfitrione, è una convinzione tradizionale che comincia con Esopo e scende giù, passando attraverso Fedro, fino a La Fontaine, Perrault e così via. Anzi, Nietzsche nella Gaia scienza temeva che «gli animali vedano nell’uomo un essere loro uguale che ha perduto in maniera estremamente pericolosa il sano intelletto animale». Ma già il profeta Isaia nell’VIII secolo a. C. ammetteva che «il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende» (1,3). Tra parentesi, pochi sanno che proprio da questo versetto, ripreso in chiave allegorica, si è formata la tradizione di collocare un bue e un asino accanto al neonato Gesù nel presepio.

            Ebbene, a ricostruire la simbolica del bestiario cristiano – per altro già oggetto di ricerche molteplici (si pensi solo al noto, vasto e impreciso Charbonneau-Lassay) –  si sta dedicando Maria Pia Ciccarese che, dopo aver selezionato in un precedente volume 21 animali in ordine alfabetico dall’”Agnello” al “Gufo”, ora procede con 21 nuovi soggetti, dal “Leone” alla “Zanzara”, promettendo un terzo tomo dedicato al “Bestiario minore”, sempre con 21 elementi, per rispettare la simbolica biblica delle cifre che ha nel settenario un archetipo di pienezza e perfezione. Ed è appunto la Bibbia ad essere la base di questa selezione “zoologica”, tenendo conto del fatto che essa si apre proprio con la creazione degli animali e con un famigerato serpente, e che si chiude riportando in scena quello stesso serpente cresciuto in drago, accanto a una Bestia satanica marina e a una terrestre che ingaggiano un duello con l’Agnello divino, nel libro dell’Apocalisse.

            Ma a offrire la decifrazione simbolica dei vari animali sono soprattutto i Padri della Chiesa che la Ciccarese antologizza per ogni soggetto, accompagnando i loro testi con introduzioni e note saporose. E ciò che si scopre è che le bestie ricevono dagli autori cristiani due profili antitetici, modellandosi quindi sui vizi e sulle virtù degli umani. Così, ad esempio, il leone – che è pur sempre un simbolo messianico e cristologico – quando è dilaniato a mani nude dall’eroe Sansone nella celebre saga biblica delle sue “fatiche” da Ercole sacro, diventa nientemeno che “il feroce popolo giudaico”, tenendo conto del fatto che Sansone è figura Christi (per fortuna s. Agostino cancellerà questa ermeneutica antisemita, riconoscendo in quel leone “il popolo delle genti tutte…”). Certo, la lepre – che è talora identificata con l’irace del Salmo 104/103, 18, una sorta di marmotta o coniglio selvatico – non può che ispirare tenerezza con la sua fuga perenne da preda inerme e, così, diventare segno del cristiano perseguitato. Eppure su di essa piomba la minaccia di un’accusa infamante: essendo un animale prolifico, si trasforma agli occhi dei Padri della Chiesa in un simbolo di lussuria sfrenata, anzi di omosessualità e, già che ci siamo, anche di pederastia (si legga l’implacabile pagina del Pedagogo di Clemente di Alessandria che attorno a questa bestiola raggruma tutte le perversioni sessuali possibili).

            Ci sono, però, anche animali “esemplari” come la pecora, che «possiede tutte le qualità necessarie per essere il simbolo del fedele: è una bestia mansueta, docile e inoffensiva, proprio come dev’essere un buon cristiano, semplice, innocente e sottomesso alla volontà del suo Signore». Essa si oppone al capro “peccatore”, sulla base della famosa scena del giudizio abbozzata nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo. Anzi, si trasfigura, stando a un testo agostiniano, nell’ovis nostra Virgo Maria. Eppure c’è qualche autore cristiano antico che trova il pelo nell’uovo e contesta alla pecora ingenuità, irrazionalità, pigrizia e servilismo. All’opposto la vipera non può che attrarre su di sé tutte le nequizie possibili (chi non ricorda l’evangelico insulto “Razza di vipere”?). Tuttavia, anche per essa – sempre per quella legge della duplice lettura del simbolismo animale – c’è uno spiraglio di misericordia: la ripresa del tema leggendario pagano dell’amplesso tra la vipera  e la murena diventa viatico di redenzione anche per la vipera innamorata che vomita il suo veleno e trasforma il suo sibilo in armonia nuziale.

            La stessa traiettoria interpretativa vale per la zanzara che infesta l’Egitto durante una delle dieci piaghe dell’Esodo, ma che occhieggia anche nell’originale greco del detto evangelico sul “filtrare il moscerino” (in realtà si ha konops, in latino culex, “zanzara” appunto). Ad essa si può applicare una vasta gamma negativa di atti morali nocivi. Eppure, attraverso una stremante rilettura riabilitativa, il Fisiologo riuscirà a vedere in uno sciame di zanzare i cristiani che «giacevano nelle tenebre del peccato e dell’ignoranza finché li ha illuminati il sole spirituale Cristo». Insomma, il bene lo si può scoprire dappertutto, anche se sepolto sotto una scorza repellente di iniquità. Un po’ come dirà secoli dopo Baudelaire nel Mio cuore messo a nudo: «In ogni uomo, in ogni ora, vi sono due postulazioni simultanee, una verso Dio, l’altra verso Satana». E gli antropomorfismi animali ce lo insegnano in modo vivace e sapienziale.

                                                                                             

Maria Pia Ciccarese, «Animali simbolici. Alle origini del bestiario cristiano», Dehoniane, Bologna, pagg. 510.