RIVISITARE L’INFERNO

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Certo, si comprendono le esigenze mutate della società contemporanea, ma la burocratizzazione dei loculi funerari o le operazioni quasi industriali delle cremazioni lasciano amarezza e persino una fitta al cuore. L’avanzare lentamente lungo i vialetti dei cimiteri, il sostare davanti a volti noti e ignoti fissati in uno sguardo atemporale, l’ingenuità dei monumenti funerari e dei mazzi di fiori costituiscono invece una quieta meditazione sul limite della vita, sul fluire del tempo, sulla tenerezza della memoria. È ciò che ha reso novembre, fasciato nella sua atmosfera grigia e fredda, il mese dei defunti, scandito agli inizi dalla data liturgica della loro commemorazione, ormai esorcizzata dalla frenesia dei nostri giorni.

         Noi, invece, non esitiamo a riproporre il tema della morte e dell’oltrevita che, per altro, è stato materia costante di arte, letteratura, filosofia e teologia. Come non ricordare in quest’anno dantesco la suprema triade dei «Novissimi» che sono l’architettura stessa della Commedia? Nella saggistica escatologica, che è insonne, nonostante il suo fluire carsico ma incessante, selezioniamo due volumi. Il primo è provocatorio nel titolo perché non esita a introdurre una parola ormai censurata, inferno. Lo è anche nel palinsesto testuale stesso intenzionalmente sparpagliato. A riflessioni teologiche s’intrecciano memorie autobiografiche di notti d’insonnia o di «giorni di grazia» datati e descritti.

         A squarci mistici subentrano macabre testimonianze come quella del ghigliottinando Jacques Fesch negli anni Cinquanta del secolo scorso. Citazioni di testi vengono amputate dal nome dell’autore per evitare polemiche a causa delle critiche aspre sulla fragilità delle loro tesi. Ad esempio, leggiamo: «Dalla penna di un autore cattolico, che per altro amo molto, leggo… Preferisco tacere il suo nome, come quello dell’autore protestante di cui dirò in seguito». Invocazioni oranti si succedono a interpellanze sferzanti e c’è persino in finale un sorprendente indice delle «pagine notevoli» di obbligatoria lettura nel libro.

         Autore è un monaco eremita, Yvon Kull, appartenente alla Congregazione religiosa che accoglie e soccorre coloro che valicano il Gran San Bernardo, divenuta famosa a livello popolare per i suoi mastodontici cani con botticella al collare. A sintetizzare la tesi espressa in quest’opera – tesi originale, anche se aggrappata a Origene, Ireneo e alla dottrina della «apocatastasi», cioè di una «restaurazione» salvifica universale finale – è l’arcivescovo emerito di Bruxelles, André Léonard, che nella sua prefazione offre il nodo centrale tematico della discussione. Ecco uno stralcio che centra il succo dell’ipotesi piuttosto problematica.

         «Dio ci ha fatto esistere in vista di vivere ciascuno la propria vita per l’eternità. Egli ci accorda la libertà, preziosa ma rischiosa, di rispondere con un “sì” o con un “no”. Nel primo caso possiamo ricevere dalla grazia il dono dell’immortalità beata. Nel secondo caso, Dio risponderebbe al nostro rifiuto non imponendoci l’esistenza eterna ma lasciandoci ritornare nel nulla. L’inferno eterno sarebbe dunque la caduta nell’inesistenza eterna». Fermiamoci qui lasciando al lettore di seguire un’argomentazione condotta sul filo del rasoio dell’ortodossia tradizionale.

         Passiamo all’altra opera più pacata fin nella veste editoriale e nella stessa iconografia. Si tratta di uno scritto corale, guidato da Claudia Manenti e nato dalla «Fondazione Cardinale Giacomo Lercaro», che porta il nome di un grande arcivescovo conciliare di Bologna e che si dedica, tra l’altro, allo studio e alla promozione dell’architettura sacra. In queste pagine, attraverso le analisi di un settenario di ricercatori, siamo condotti nell’orizzonte funerario liturgico. Si parte, però, dall’orizzonte antropologico-culturale radicale con l’affascinante capitolo della primordiale ermeneutica della morte, cristallizzata nei riti di trattamento dei corpi dei defunti.

         Irrompe, poi, con uno squarcio luminoso la visione pasquale cristiana che qui viene raffigurata attraverso i segni della liturgia esequiale e del suo stesso innestarsi ora in una società multireligiosa o secolarizzata (pensiamo alla funeral house o all’industria del «caro estinto» che ha provocato la nota definizione di «pornografia della morte»). Infine l’obiettivo si sposta in quei cimiteri da cui siamo partiti, ma anche negli spazi «laici» per il commiato o per la sepoltura delle ceneri. Alla radice c’è quella «morte capovolta» – per usare la formula del saggio del 1978 di Philippe Ariès – che icasticamente definisce il diverso rapporto con la morte da parte della cultura contemporanea.

         Una sorta di basso continuo che accompagna i vari saggi di questo volume, per altro scandito dalla citata iconografia molto suggestiva e pertinente, è la dimensione religiosa e fin pastorale. Essa rende meno fredde le analisi, preziose e accurate, di taglio antropologico, artistico, sociologico e giuridico, proiettando gli spazi e i riti dei defunti proprio «verso l’Aldilà», come recita il titolo (si noti la maiuscola). Un «Aldilà» che in questa visione è – per usare le parole di Rilke – «l’altra faccia della vita rispetto a quella rivolta verso di noi».

GIANFRANCO RAVASI

Yvon Kull, Rivisitare l’inferno, Rubbettino, pagg. 185, € 18,00.

Claudia Manenti (ed.), Verso l’Aldilà, Minerva, pagg. 110, € 15,00.