PERCHÉ LEGGERE?

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Una delle letture più intense e appassionate che ho assaporato in questi ultimi mesi ha riguardato proprio un libro sulla lettura, affascinante già nel titolo, Una meravigliosa solitudine, di una straordinaria studiosa che i nostri lettori ben conoscono, Lina Bolzoni. In un viaggio nei secoli e nelle regioni d’Europa si è condotti negli spazi magici delle biblioteche di autori come Petrarca o Tasso, salendo fin sulla torre del castello di Montaigne, sostando davanti ai ritratti di lettori nobili, penetrando nei meandri stessi di un «io» che legge, ad esempio, i Vangeli come faceva Erasmo, incontrando il Verbo. Sulla scorta del tema proposto da quel libro, già presentato nel nostro supplemento, riproponiamo l’atto del leggere che uno stereotipo ci suggerisce essere obsoleto nei nostri tempi.

         Eppure già Leopardi nel suo Zibaldone, sotto la data 5 febbraio 1828, annotava: «Ormai si può dire in verità, massime in Italia, che son più di numero gli scrittori che i lettori giacché gran parte degli scrittori non legge e legge men che non iscrive». Un trend che, però, Goffredo Parise, nella risposta a una lettrice sul Corriere della Sera del 28 luglio 1974, paradossalmente ribaltava: «I figli dei suoi figli, cara signora, che non saranno obbligati a leggere più nessun libro, tireranno un sospiro di sollievo; e forse, da quel momento e per curiosità turistica, cominceranno a leggerli». Non ci è dato sapere se si è compiuto questo miracolo nei nostri giorni informatici.

         Sta di fatto, però, che il flusso dei libri editi è incessante a causa della leopardiana bulimia di autori (spesso bisognerebbe dire «produttori»), mentre non sembra attenuarsi l’anoressia di lettori (o «consumatori»). È così che si sprecano gli appelli alla lettura secondo il retorico e inascoltato motto di Daniel Pennac e del suo Come un romanzo del 1992: «Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere». Già il giovane Agostino d’Ippona sentiva echeggiare quella voce che gli suggeriva Tolle, lege!, come egli stesso ricorda nelle sue Confessioni (8,12,29), con lo sconvolgente esito finale che ben sappiamo.

         Gesù stesso, a quanto risulta dal Vangelo di Luca, praticava la lettura, come è attestato da un episodio accaduto nella modesta sinagoga del suo villaggio, Nazaret, durante il culto dello shabbat: «Si alzò a leggere il rotolo del profeta Isaia» (4,16-17). Il verbo usato per indicare la lettura è significativo: anaghinóskô, cioè un «conoscere» discorsivo e susseguente (aná, «lungo, tra»), un vocabolo che ricorre 32 volte nel Nuovo Testamento. Non bisogna, infatti, dimenticare che quella che il cristianesimo chiama graphê, «Scrittura» sacra, nella tradizione giudaica è miqra’, ossia la «Lettura» per eccellenza, la proclamazione pubblica, espressa con la stessa radice verbale che si ritroverà nel vocabolo arabo «Corano» con identico significato.

         Ebbene, alla domanda scontata Perché leggere? ha dedicato un saggio una monaca della comunità di Bose (Biella), Cecilia Falchini, ma secondo un taglio che è squisitamente spirituale, partendo da un carme di Rabano Mauro, monaco carolingio, vescovo di Magonza, morto nell’856. In esso si delinea una sorta di triade: «la fatica dello scrittore, l’energia nel salmodiare e l’applicazione e la cura necessarie per la lettura». Non dimentichiamo che ancor oggi nella liturgia cattolica il libro dei testi biblici da proclamare è chiamato «Lezionario», così come l’antico «Breviario» (ora «Liturgia delle Ore») si apre con un «Ufficio di lettura» che è l’equivalente del «Mattutino» d’un tempo. Ora, secondo l’autrice, il leggere il testo sacro ha alla base la relazione con una persona, Dio, che è vivente e presente nell’atto stesso della lettura, la quale si trasforma così in un dialogo. Anzi, come era accaduto a sant’Agostino, produce efficacemente un mutamento interiore, se questa esperienza è vissuta con fede e disponibilità.

         Non è, quindi, lettura meramente informativa ma performativa, proprio a causa della dimensione relazionale con Dio che essa comporta. Abbiamo solo evocato l’incipit della riflessione della Falchini perché le tappe dell’itinerario proposto diventano poi una sorta di programma che, dalla necessaria interazione tra libro e lettura (c’è anche il rischio di una «non-lettura» perché «si può mangiare la parola di Dio, ma restarne digiuni, restare con il ventre vuoto») approda alla meditazione che comprende un arcobaleno di esperienze anche oscure e di lotta. Per citare ancora il Leopardi dello Zibaldone (settembre 1823), il meditare è fatto derivare dal latino medeor, «curare, medicare», per cui «meditare una cosa è una continuazione del semplice averne o pigliarne cura».

         Ecco, allora, quella piena comprensione raggiunta attraverso una lettura graduale e comunitaria che conduce alla scoperta del senso autentico e profondo: non è solo l’identificazione corretta di un contenuto, ma un incontro vitale, è stupore, gratitudine, apertura all’amore. Il cerchio, perciò, se parte dagli occhi o dalle labbra che leggono si richiude nel cuore che ama, come afferma ancora sant’Agostino: sulla vetta della lettura sacra si erge «l’edificio del duplice amore di Dio e del prossimo». Tante altre regole governano la grammatica della lectio divina allestita da Cecilia Falchini, ma la struttura fondamentale è costruita sulla base di un’incessante lettura degli autori spirituali cristiani, dai Padri della Chiesa agli scrittori medievali, per cui tutte le pagine del saggio sono un intarsio di citazioni che ne costituiscono il metatesto.

         A questo punto si potrebbe allegare un altro volume dal titolo curioso, La musica prima di tutto, noto prestito dal poeta Paul Verlaine che era convinto della sonorità insita alla poesia, la cui tonalità e ritmo possono essere scoperti solo «eseguendo» il testo come fosse una partitura musicale. La lettura proclamata è, quindi, necessaria per la grande poesia. A questo proposito è illuminante quanto scriveva Luigi Pareyson nel suo noto scritto sulla Verità e interpretazione (Mursia 1971): «L’esistenza dell’opera musicale non è quella inerte e muta dello spartito, ma quella viva e sonora dell’esecuzione, la quale tuttavia per il suo carattere necessariamente personale e quindi interpretativo, è sempre nuova e diversa, cioè molteplice. Ma la sua molteplicità non pregiudica per nulla l’unicità dell’opera musicale. L’esecuzione non è una copia o riflesso, ma vita e possesso dell’opera».

         L’analogia musicale è adottata da un noto biblista belga, il gesuita Jean-Louis Ska per definire la sopra citata raccolta di letture esegetiche disposte appunto come una sequenza di spartiti basati sul testo biblico e che egli cerca di «eseguire» con le sue analisi dalle iridescenze anche spirituali. Sono quattordici passi anticotestamentari che hanno come explicit un ritorno alla steppa del Sinai con l’Israele biblico che ascolta le parole divine proclamate e scritte da Mosè accogliendole come norma di vita, suggellandole col rito del sangue, segno di una comunione vitale tra Dio e il popolo, sbocciata dalla parola letta e ascoltata (Esodo 24,3-8).

GIANFRANCO RAVASI

Cecilia Falchini, Perché leggere?, Qiqajon, Bose (Biella), pagg. 224, € 20,00.

Jean-Louis Ska, La musica prima di tutto, Dehoniane, Bologna, pagg. 242, € 25,00.

Si veda Lina Bolzoni, Una meravigliosa solitudine, Einaudi, Torino, pagg. 254, € 30,00.

Pubblicato col titolo: Dialogare con Dio grazie alla lettura, su IlSole24ORE, n. 142 (24/05/2020).